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Universitas

RESTITUZIONE DELL’INTEGRITÀ

SERGIO BALBI - 13/09/2013

La resurrezione di Lazzaro in una icona bizantina

Guarire è recuperare lo stato di salute, ritornare allo stato precedente alla malattia, ritornare come prima. Guarire è recuperare qualche cosa che si era perso, e per questo la sofferenza della malattia porta con sé non solo il dolore dell’affezione ma la nostalgia dello stato precedente. Sperare di guarire è perciò voltarsi indietro alla ricerca di ciò che abbiamo perduto. Con un’aulica espressione che qualche volta si sente nelle corsie ospedaliere l’obbiettivo della guarigione completa è la “restitutio ad integrum”: l’obbiettivo quindi è ricomporre un’integrità che per propria natura si potrebbe definire perfetta, ora che è perduta.

È sempre interessante riflettere sulla nostra capacità di percepire un’unità, una perfezione nel momento in cui qualche cosa la minaccia, in quanto ci pone chiaramente davanti alla difficoltà quotidiana di mediare tra il dono dell’essere, e la capacità di goderne che dovrebbe da questa derivare, e lo scorrere del tempo che riempiamo di tante cose, a volte solo di insoddisfazione o turbamenti, lotte, contese, rivalse. Ma oltre a questo nel concetto moderno del guarire, di recuperare l’integrità, la piena autonomia, si cela il valore della funzione, della capacità, del pieno possesso della propria posizione nella società; un valore facile da pesare perché è misurabile, è monetizzabile e molto spesso è solo a questo che si riduce il nostro desiderio di guardare avanti nel processo di guarigione.

Ma nel guarire ci deve per forza essere molto di più, perché anche Lazzaro morì ancora e così sappiamo perfettamente che nel nostro futuro qualche altro acciacco ci farà “tornare indietro”. Non si tratta di guardare avanti con le mani sulla testa in attesa della prossima tegola che cadrà, sarebbe una modalità più che paralizzante di vivere, ma si vuole proporre un tentativo di vedere la guarigione come uno stato in cui, contrariamente a quanto si desidera sempre, voltandosi indietro, si maturi la certezza che non siamo più come prima, che non vogliamo più essere come prima. È una logica che può sembrare bizzarra, autolesionista, ma se scoviamo dentro la parola guarire il suo primo significato, che è salvare, forse le cose cominciano ad assumere una luce nuova. Il suo senso si amplia perché getta una prospettiva verso l’avanti, non si riduce più ad un tentativo di recuperare, di ritorno a ciò che è stato, perché spesso questo trascina con sé frustrazione e delusione soprattutto in un’ottica di valore monetizzabile della salute.

Guarire come salvezza è dare una direzione alla nostra vita, è cercare di risistemare in un ordine tutte le cose che forse abbiamo sprecato, disperso, nelle giornate in cui il tempo sembra non passare mai o passa troppo in fretta. Non si tratta neanche di ringraziare per il pericolo scampato, anche questo è riduttivo, ma guarire come salvezza porta con sé la possibilità (sta solo alla persona coglierla, ma c’è sempre) di assaporare soprattutto il senso dell’essere; guarire come salvezza, guarire come richiamo ad essere una persona finalmente diversa, migliore, più volte ce lo insegnano non i testi di medicina ma il Vangelo. Lazzaro morirà ancora ma mi piace pensarlo, in questo intervallo di tempo concesso, con uno sguardo illuminato, proiettato in avanti senza paura, amorevole e profondo nello scrutare il reale.

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