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Attualità

CITTADELLA DELLO SPORT, PERCHÉ NO?

MASSIMO LODI - 27/09/2013

Cinque anni fa i mondiali varesini di ciclismo furono un successo non esclusivo di Ballan, che trionfò. Spettacolarità di percorso, arrivo di fascino nell’ippodromo delle Bettole divenuto bike-arena, mobilitazione e affettività popolare: una vittoria (una festa) di tutti. Dei promotori, della municipalità, dei residenti, degli ospiti. All’epilogo, la promessa di riprovarci, con l’appuntamento a nuove intriganti manifestazioni, e con l’impegno a fare di Varese un modello di città dello sport. Il centro d’una serie di continuative gare di discipline varie. La capitale, piccola bella attrezzatissima, d’un mondo rivolto a giovani e non giovani, praticanti e spettatori.

Abbiamo coltivato in parte quell’idea felice, come dimostra il consenso incassato dai mondiali di canottaggio master, svoltisi di recente alla Schiranna. Ma in parte ancora no, perché ben più coltivabile di quanto lo sia stata. E non solo tramite proposte di eventi d’alto di livello. Anche attraverso offerte minori, e però importanti, stabili, rispondenti a una simile vocazione. Proviamo a citare qualche esempio.

Primo esempio. Perché non dotarsi, vista la predilezione antica in materia, d’una serie di campi di basket, anche di ridotte dimensioni, in luoghi adatti a soddisfare (e a incentivare) la passione dei ragazzi? Nei parchi, tanto per andare sul concreto. Un campetto in ogni giardino pubblico, richiamandoci alla nostra tradizione. Moltiplicando le occasioni di gioco, svago, esercizio. Creando una scuola che si fa da sé, insegna senza voler insegnare, s’impone come vivaio sostanziale senz’esserlo formalmente, produce infine cultura popolare. Perché anche questa è (altro che, se lo è) cultura popolare.

Secondo esempio. Allestire tracciati per pedalatori con indicazioni chilometro dopo chilometro, lungo il lago, verso la montagna, attorno al capoluogo; e corredati da una cartellonistica ricca d’informazioni tecniche, di riferimenti storici, di descrizioni paesaggistiche. Mettere agonisti e amatori nella condizione – psicologica e ambientale – di sentirsi accolti in una sorta di gigantesco impianto magicamente funzionale per chi lo frequenta.

Terzo esempio. Fare per il podismo ciò che si fa per il ciclismo. Tanti percorsi misurati, tante note descrittive, tanta informazione specialistica. Riscoprire il passato, che è d’assoluto pregio, com’è lì a ricordarci lo svolgimento durante gli anni Settanta della Maratona del Lago, quand’ancora la maratona non era un fenomeno di massa. E diventare competitivi nel presente del running: abbiamo itinerari che chiunque c’invidierebbe, perché non valorizzarne le potenzialità sia nell’offerta quotidiana d’un servizio utile sia nell’allestimento periodico di manifestazioni nazionali – internazionali?

Gli esempi potrebbero continuare. Varese modello di città dello sport non è un sogno irrealizzabile. È un obiettivo alla nostra portata. Lo sapevamo cinque anni fa, lo sappiamo ancora meglio dopo aver mostrato al resto del mondo di che cosa siamo capaci. Sarebbe un peccato, saliti su quella lucidatissima bicicletta, non starvi idealmente in sella senza scendervi mai, mirando a traguardi -specie in vista dell’Expò 2015- che a noi sono concessi da un sito fortunato e da un entusiasmo antico, e ad altri vietati.

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