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Politica

IL TRASFORMISMO DI CONVENIENZA

CAMILLO MASSIMO FIORI - 04/10/2013

La sorprendente decisione di Silvio Berlusconi di far dimettere i suoi ministri, dopo aver fatto altrettanto con i parlamentari, e di far crollare il governo ha avuto, una manciata prima della votazione in Parlamento, un esito del tutto imprevisto e imprevedibile. Di fronte alla dissociazione di una consistente quota di senatori e deputati e al rischio di una frammentazione del Partito il leader del centro destra si è risolto a votare la fiducia al governo Letta. Si conclude con un alto margine di ambiguità una delle più sconcertanti vicende della politica con un’ampia maggioranza “politica” a favore dell’esecutivo e una altrettanto imponente maggioranza “numerica” che tuttavia è l’esito di una scelta trasformistica di convenienza.

Sarebbe stata la seconda volta nel corso di quest’anno che il leader del centro destra ha tentato di sbaragliare due governi che erano impegnati, a prezzo di grandi sacrifici chiesti ai cittadini, a mettere in sicurezza i nostri disastrati conti e a scongiurare il “default”. Dopo un ventennio il governo dei tecnici di Mario Monti e quello delle larghe intese di Enrico Letta erano riusciti a intraprendere alcune significative riforme: sono stati racimolati a fatica i soldi per cancellare la prima rata dell’IMU, si sono ottenuti risparmi per eliminare anche la seconda rata, evitare l’aumento dell’IVA e rifinanziare la cassa integrazione per gli operai senza lavoro. La legge di stabilità dovrà prossimamente ridefinire le entrate e le spese, in particolare per diminuire il costo del lavoro che costituisce un grave ostacolo per la competitività delle nostre imprese. Dopo due decenni di inerzia da parte dei governi sono stati affrontati, sia pure con fatica e tra veti incrociati, i nodi strutturali del nostro Paese con provvedimenti certamente impopolari ma necessari dopo lo scialo degli anni passati.

L’irreparabile è stato evitato, l’economia non sarà lasciata a se stessa e forse sarà possibile la ripresa non sarà possibile continuare a rinnovare l’imponente debito accumulato. Chi sarebbe stato disposto a far credito ad un Paese in crisi, la cui classe dirigente è più attenta ai propri interessi che a quelli della nazione?

Da questa incredibile vicenda la credibilità dell’Italia nei confronti dei partner europei ne esce scossa; il nostro Paese che fino a qualche tempo fa era tra i primi in graduatoria tra le potenze industriali è ora in una fase di osservazione.

Nella settimana in cui la prima azienda telefonica passa in mani spagnole e la compagnia aerea di bandiera, salvata a spese dei contribuenti, gravita verso la Francia, una classe politica irresponsabile si balocca in giochi di potere che non hanno precedenti neppure nella vituperata prima Repubblica. Il leader del centro destra ha mandato il licenziamento a Letta mentre il premier assicurava Wall Street sulla affidabilità dell’Italia e invitava gli operatori esteri a investire nel nostro Paese. Mai l’Italia era stata umiliata a tal punto.

Non c’ è alcun ragionevole dubbio che il motivo scatenante dell’attacco alle istituzioni è da attribuirsi alla volontà di Berlusconi di anteporre i suoi problemi e suoi interessi a quelli della nazione considerandosi al di sopra della legge e pretendendo una agibilità politica che gli è stata sbarrata dalla sentenza definitiva con la quale è stato condannato per il grave reato di evasione fiscale.

All’estero nessun leader penalmente sanzionato o semplicemente accusato di comportamenti scorretti avrebbe esitato un attimo a dimettersi e a trarsi in disparte dalla politica attiva.

Dopo la parentesi della dittatura fascista non era mai accaduto nulla di simile nella nostra storia. I leader della prima Repubblica, travolti dalle accuse di corruzione, furono costretti a lasciare i loro incarichi e qualcuno dovette fuggire in terra straniera.

Se è sorprendente il numero di processi contro Berlusconi, non meno impressionante è il numero delle leggi approvate in sua difesa.

L’attuale drammatica situazione ha però cause più remote che coincidono proprio con l’avvento di Berlusconi: l’uomo di Arcore ha ampiamente scardinato il nostro sistema democratico e i risultati sono visibili ad occhio nudo.

Il Parlamento rappresenta solo imperfettamente i cittadini perché i suoi componenti, con il “porcellum”, vengono scelti dalle segreterie politiche, rispondono ai leader e, per di più, sono di mediocre qualità.

I partiti sono stati completamente trasformati in partiti personali dove conta il leader e la comunicazione non il metodo democratico; la discussione, gli ideali e i programmi sono uno sbiadito ricordo; mancano di una base consistente di iscritti e non sono più radicati nel territorio come un tempo.

I valori che informano la nostra Costituzione sono stati destrutturati rispetto all’esperienza storica di libertà e vengono reinterpretati in senso individualista e consumistico in attesa di una revisione anche letterale della nostra legge fondamentale.

Con queste premesse il nostro sistema democratico e le sue istituzioni sono state trasformate in “gusci vuoti” in cui gli elettori sono stati sostituiti da personaggi che agiscono in nome e per conti di interessi particolari e di gruppi corporativi, non invece per il bene comune.

Se non si prende coscienza di questa trasformazione profonda la sfiducia verso la politica non si traduce in un impegno di rinnovamento e i partiti vengono meno alla loro insostituibile funzione di partecipazione e di animazione della vita democratica.

Il popolo ha perso fiducia nel principio di rappresentanza perché, in effetti, non sceglie su di una base di razionalità ma in quanto indotto dal sistema mediatico a far affidamento soltanto alle emozioni e ai sentimento; manca di una informazione corretta e di una preparazione adeguata alla compressione della complessità sociale.

Il “nuovismo” che caratterizza l’atteggiamento degli italiani è la conseguenza di una abdicazione al senso di responsabilità e dell’assunzione di una mentalità infantile. Questa opposizione acritica non risolve i problemi e appiattisce la società in un qualunquismo deprimente che lascia in mano la gestione del Paese ai gruppi di potere.

Non ci sono più uomini come De Gasperi, Vanoni, La Pira, Fanfani, Moro perché l’humus culturale dell’Italia è degradato come la sua economia. Quando il popolo ha una guida autorevole e sicura riesce ad esprimere le sue migliori qualità, quando invece è guidato da “omuncoli” mette in luce il suo lato peggiore.

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