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Apologie Paradossali

SAPPIAMO SOLO CIÒ CHE C’IMPORTA

COSTANTE PORTATADINO - 11/10/2013

Il disastro di Lampedusa scuote le coscienze, insegna qualcosa o scatena solo il gioco fariseo di dare la colpa agli altri?

Sarà pur vero che la legge Bossi-Fini… sarà pur vero che l’Europa… sarà pur vero che il pattugliamento in mare della Marina, della Guardia di Finanza… sarà pur vero che due pescherecci quel giorno erano lì… sarà pur vero, lo so per esperienza, quanto mare e quanto distintamente si notino, dalla quota di crociera di un comune aereo di linea, ad occhio nudo, anche dei modesti pescherecci ecc. ecc.

Mi sembra che tutto ciò non vada alla radice del problema, tanto che mi era venuta la voglia di dedicare un apologia paradossale al sindaco di Gemonio, Fabio Felli, renitente al lutto nazionale ed ammainatore di bandiere abbrunate. Me lo ha sconsigliato vivamente l’amico Sebastiano Conformi, sempre più attento di me a fiutare l’umore dell’opinione pubblica. “La gente non ti capirebbe -

dice – Felli non lo hanno capito nemmeno i leghisti, quanto meno non lo hanno sostenuto. Forse anche perché Maroni se l’intende con Pisapia, più che con Letta…”.

Ho obbedito e ho rinunciato ad interpretare il gesto di Felli, sarei andato forse oltre le sue intenzioni, come una ribellione al fariseismo dominante e ancor più ad uno scarico di coscienza ancor più sostanziale. Ma non rinuncio ad una riflessione che completi e approfondisca il concetto accennato nell’apologia “La realtà supera l’immaginazione” della scorsa settimana.

La realtà – sostenevo – ha un impatto formidabile sulla ragione, tanto da metterla in crisi, da costringerla ad allargare il proprio sguardo, a rivedere i propri criteri, a rendersi più “umana”, meno “geometrica”. Ma “questa” ragione, intesa come cultura dominante, qualcuno osa chiamarla ‘pensiero unico’, non demorde. Riesce sempre a ricondurre tutto alla propria misura, a trovare una ‘causa’, un colpevole, un capro espiatorio, o una giustificazione, senza mai mettere in discussione se stessa, la propria incapacità di cogliere tutti i fattori, di vedere le origini più lontane dei fatti e di immaginarne le conseguenze più remote.

È quello che sta accadendo nella discussione sull’evento di Lampedusa. Si è accesa una luce fortissima su questa tragedia, grazie allo shock mediatico, ai numeri, alle bare. Ai sacchi di plastica, ai corpi intrappolati nel barcone, che nemmeno i sommozzatori riescono a riportare a galla, alle fotografie e agli indumenti occidentali, le magliette e le scarpe da ginnastica, robe da famiglie piccolo-borghesi, non africani immaginari. E si viene a sapere (nel si dice, certo non nei dati ufficiali) che i pescatori di Mazara trovano tutti i giorni qualche cadavere nelle reti… e lo seppelliscono in mare.

Ma non si dice mai, nemmeno in questi giorni, se non forse in qualche scheda tecnica di riviste specializzate, quanti siano i rifugiati nel mondo (decine di milioni, psssst!) da dove vengano, per quali cause abbandonino la loro terra (si fa presto a dire fame, ma chi ha fame non ha nemmeno il denaro per pagarsi il viaggio e nemmeno la cultura per sapere dove andare, per alimentare una speranza impossibile). Non sappiamo che ci sono campi di raccolta ai margini delle aree di sofferenza occupati ciascuno da decine di migliaia, talvolta centinaia di migliaia di disperati, dove ogni giorno, in ciascuno di essi, muore tanta gente quanta a Lampedusa. Non sappiamo perché nessuno ce lo dice, ma anche perché non vogliamo sapere, se non quello che ci interessa sapere, quello che rientra nel nostro schema mentale, nel pregiudizio di ‘buoni questi, cattivi gli altri’.

Nello scandalo, come nelle statistiche, non c’è verità, devo anche badare a non fraintendere, io per primo. Non mi basta un approccio più informato, più scientifico, più politico o più caritatevole al problema, anche gettare più luce su di un punto solo spesso abbaglia e fa sfuggire quello che rimane in penombra. Dobbiamo cercare chi vive questa realtà e ascoltare davvero, siano missionari venuti dall’occidente o contadini analfabeti o anche migranti clandestini attirati dal miraggio di un diverso benessere. Se anche non conosco la risposta, non posso eludere la domanda.

Lampedusa, nel nome c’è il presagio, ha gettato una luce sorprendente sulla vita di milioni e milioni di nostri fratelli. Ora, senza retorica, la lampada deve illuminare tutta la casa; una volta accesa non possiamo servircene per abbagliare qualche moscerino e subito riporla sotto il moggio.

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