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Universitas

IL BENE COMUNE

SERGIO BALBI - 11/10/2013

“Ragazzi si copia! A lezione di imbrogli”; è questo il titolo della conferenza che il Prof. Marcello Dei, sociologo dell’Università di Urbino, ha tenuto presso il nostro Ateneo il 5 giugno scorso nell’ambito di un ciclo di incontri culturali a cura della Commissione che ha redatto il Codice Etico di Ateneo dell’Insubria. Confesso che il titolo mi è parso strano, poco… “universitario”, attinente ad un problema marginale rispetto a tutti i guai che affliggono la società. Tuttavia una certa curiosità mi ha spinto ad assistervi e al termine ho compreso che i miei sentimenti iniziali erano lo specchio esatto di ciò che questo studio* (piuttosto articolato nell’analisi del fenomeno) concludeva sul nostro modo di essere cittadini portando alla necessità di riflessioni e conseguenze che vanno ben oltre quello che siamo abituati a considerare una “comune marachella scolastica”.

Porto però all’attenzione solo due aspetti che mi hanno colpito e che danno subito l’occasione per ampliare lo sguardo, dalle aule scolastiche alla società intera. Il primo aspetto attiene al sentimento che il copiare provoca nello studente: analizzandolo mediante lo strumento di questionari a risposte multiple, da un confronto tra alunni della quinta elementare fino agli studenti delle scuole secondarie superiori emerge, come dato più rilevante, “il diverso spessore della patina di apatia con la quale bambini e adolescenti ricoprono la copiatura, l’indifferenza, che passa dall’8,9% degli alunni al 36,5% degli studenti”. Negli studenti delle scuole superiori questo è il primo sentimento, seguito da altri come la soddisfazione per la furbizia, relegando invece gli accenti negativi di colpa o inferiorità a posizioni distanti.

Mi pare che questo risultato, se esteso al vivere sociale, possa dar conto di una certa mancanza di senso del bene comune che ben percepiamo nel fondo delle nostre coscienze quando, storditi dalla pletora di informazione quotidiana, facciamo prevalere una forma di stanchezza od una reazione emotiva ed effimera a fatti come quelli che in questi giorni puntano i riflettori sui nostri confini. È allora più evidente come l’interiorizzazione della norma “divieto di copiare” sia manifestazione di una questione più ampia, del non avere cioè in mente “il referente universalistico del divieto che essa impone: il bene comune” per l’appunto. Questa conclusione si accoppia e si rinforza quando si analizzano le risposte alla questione di quale possa essere il bersaglio negativo del copiare (lo studente stesso, chi non copia, il professore, l’interesse comune all’onesta, ecc.). Ancora una volta il risultato è sorprendente: la frequenza più alta è “la mancata risposta (30.5%). Una percentuale smisuratamente alta che non ha eguali nei missing delle altre domande e che quindi non possiamo imputare allo scarso zelo o alla trascuratezza dei rispondenti, ma che corrisponde al genuino e coerente convincimento che copiare non produce alcun effetto negativo, non lede gli interessi di nessuno”. Copiare quindi non è percepito come “lesivo dei valori di onestà sui quali si fondano il riconoscimento e la valutazione del merito e che si presumono universalmente condivisi nella società”.

Lego a tutto ciò il secondo punto di interesse: “Gli insegnanti che pensano che copiare sia molto condannabile sono meno della metà (45%)”. Secondo gli autori, citando un altro studio, l’insegnante che non interviene se vede un alunno copiare “ha perso un’occasione per far riflettere i suoi studenti sul valore delle regole stabilite per garantire che ognuno riceva il frutto del proprio lavoro”. Ciò va a braccetto col fatto che è in atto una trasformazione delle famiglie, che da “etiche”, centrate sui valori, diventano “affettive”, centrate sull’importanza delle relazioni e quindi anziché “chiedere imparzialità per il figlio pretendono un trattamento personalizzato che attiene più all’idea e alla prassi di mercato che a quella di cittadinanza”. Non si tratta certo di impoverire i vincoli delle relazioni e degli affetti, ma di avere un po’ più di coraggio nel confrontarsi (soprattutto nell’intimo delle nostre coscienze) col fatto di “rivedere con occhio critico il significato di quei comportamenti comuni nella vita quotidiana delle classi che appaiono tollerabili, “normali”, e interromperne l’accettazione”, per far ancora nostri i concetti di cittadino e bene comune.

 * http://www.marche.istruzione.it/allegati/2008/novembre/copiareascuola_uniurb_completo2.pdf

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