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Libri

LUIGI AMBROSOLI RACCONTA

ROSALBA FERRERO - 10/12/2011

 

Dieci anni fa apparve in libreria “Varese, storia millenaria” un elegante libro cartonato a tiratura limitata, in cofanetto, con ricco materiale iconografico: era il primo volume della collana “Varesini illustri” fortemente voluto da Luigi Orrigoni, nell’ambito del suo impegno volto a promuovere la cultura.

Luigi Ambrosoli, studioso di storia e di arte, dipana la storia della città di Varese in duecento pagine di una lettura accattivante, coinvolgente. Oltre un terzo delle quali dedicate all’arco temporale che va da fine Settecento ai giorni nostri, in conformità alla passione dell’autore per il Risorgimento, periodo in cui si sono gettate le fondamenta delle istituzioni e delle trame socio-culturali che spiegano ogni elemento della nostra quotidianità; ma l’incipit della “Storia” sono gli insediamenti sull’Isolino Virginia, datati cinquemila anni fa, quando il pleistocene era ormai terminato, e gli altri insediamenti della preistoria nel nostro territorio, poi, dopo un excursus nell’età romana medioevale e moderna, si approda ai temi più recenti sino alla contemporaneità.

Anche se si legge “come un romanzo”, il volume è un libro di storia, costruito tra archivio e biblioteca, documentato e oggettivo, utile a studenti e studiosi e, poiché gli storici amano i manuali dalle vesti severe e poco sontuose, attenti come sono più alla sostanza più che all’apparenza, si è sentita l’esigenza di rieditarlo rendendolo più maneggevole, più fruibile, in particolare per gli studenti che – è consolidato – amano le edizioni tascabili e poco costose. Ecco così il nuovo volume, dalla nuova veste grafica, con un nuovo titolo, “Storia di Varese” semplicemente, e non più “storia millenaria”, ricco di trecento pagine rivisitate, privato di una parte dell’impianto iconografico e di alcune imprecisioni presenti nel testo precedente.

L’idea di una storia della sua città era venuta ad Ambrosoli, nato e vissuto a Varese, per raccontare le tracce del passato che costantemente segnavano la sua esistenza quotidiana di cittadino attivo nella vita culturale e amministrativa, di ‘pedone’ curioso indagatore di ogni palazzo monumento sasso che incontrava nel suo percorrere la città in lungo e in largo, di studioso e di docente avvezzo a chiedersi il perché di ogni cosa, a porsi domande su “cosa-è-accaduto-prima” e ha determinato “ciò-che-c’è- adesso”. Come docente universitario, e ancor prima come professore in vari istituti della città, aveva approfondito temi inerenti al Risorgimento – con particolare attenzione alla figura di Carlo Cattaneo –, alla storia moderna, alla storia delle istituzioni scolastiche e alle problematiche educative in Italia dopo l’unificazione, sempre confermato dalla convinzione che, avendo il privilegio di poter studiare e scrivere, doveva mediare la sua cultura e sapienza come un servizio alla collettività.

Nel convinto, costante impegno culturale e civile, nella dimensione distaccata quasi asettica dell’indagare, nell’affrontare fatti e personaggi sottolineando i valori etici che scopriva man mano, si avverte l’influenza di Chabod, maestro di storia e di vita, fiero assertore di una visione liberale e laica della storia. Così si leggono con piacere le pagine sul 1848 a Varese, si legge della visita del Re Vittorio Emanuele II all’indomani di Villafranca, accolto con “entusiasmo ed esultanza” dalla popolazione e “anche dal clero… che confermava di essere mosso da sentimenti liberali e patriottici”, si ripercorrono le altre tappe della costituzione dello stato unitario nel tempo, si leggono le note sui mali del centralismo che emerge quando indaga su Ferrari e Cattaneo: la stesura è attuata ‘freddamente’, senza pregiudizi e senza ‘partecipare emotivamente’ o lasciar trasparire la passione personale politica. Obiettività storica quanto mai rara.

Si colgono con particolare interesse le sottolineature del costante rapporto tra la storia locale e la storia nazionale, generale: Varese è terra di uomini illustri come il giurista Brusa, i medici e scienziati Golgi, Bizzozero, Riva Rocci, Monti, Maggi, gli ingegneri Speroni e Adamoli, i militari di carriera Pedotti, Viganò, Albricci: questa diffusione del ceto intellettuale si spiega tenendo conto della collocazione geografica della città, se si accetta l’ipotesi secondo cui nel secolo passato si era più propensi agli studi nelle zone pedemontane che nelle zone di pianura dove abbondava il lavoro agricolo e imprenditoriale che sottraeva uomini e “cervelli” allo studio. Così proprio a Varese si è raggiunto l’obiettivo di creare un paese liberale calato nella struttura costituzionale offerta dallo Statuto Albertino. Con altrettanto interesse si annota la competente indagine sulle scuole, cui Luigi Ambrosoli, educatore e pedagogista, dedica ampio spazio, o l’analisi delle testate giornalistiche presenti in città, specchio costante dell’opinione pubblica. Un testo piacevole di cui parlare. Possibilmente dopo averlo letto.

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