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Politica

LA NOTTE DELL’EURO

CAMILLO MASSIMO FIORI - 17/12/2011

 

L’avvento della globalizzazione reso possibile dalla qualità delle nuove tecnologie, in particolare elettroniche, ha realizzato un mondo interconnesso dove sono aumentate le transazioni commerciali ma molto di più, quasi il doppio, quelle finanziarie: lo scambio di capitali è di gran lunga maggiore di quello dei prodotti. Un mercato finanziario globale e innovativo esigeva delle regole flessibili rispetto a quelle applicate dopo la grande depressione del 1929 in cui sono state erette barriere per difendere le economie nazionali ma non certamente, come è invece successo, un eccesso di deregolamentazione che ha sciolto le briglie alla speculazione finanziaria.

La crisi, scoppiata in America nel 2008, è stata fronteggiata inizialmente attraverso il salvataggio delle banche che non avrebbero potuto, per mancanza di capitali, sostenere l’industria con la disponibilità di credito, ma senza aggiungere alcune regole sia pure non ostili per evitare il ripetersi degli errori.

Così la crisi non è finita in America e si è spostata in Europa dove il mercato unico non ha ancora trovato una convincente stabilità garantita dalla politica e dalle istituzioni.

Tutta l’Eurozona è ora a rischio e la moneta unica che ha sin qui sostenuto il secondo mercato mondiale potrebbe crollare provocando il dimezzamento dei redditi della maggior parte dei Paesi dell’Unione. Il “default” della Grecia ha fatto da premessa alla possibile catastrofe dell’Italia che il governo tecnico dell’economista Monti sta cercando di scongiurare con una durissima manovra e con alcuni provvedimenti di rilancio economico.

Da dieci anni il Paese non cresce più: l’attuale ristagno economico è imputabile al pesante arretrato di riforme strutturali e alla onerosa eredità del debito pubblico acceso negli anni Ottanta.

L’Italia unitaria delle origini, per la verità, è nata male come un allargamento del Regno del Piemonte, senza sanare i preesistenti squilibri territoriali, economici e culturali derivanti da secoli di servaggio.

Lo Stato italiano non è mai stato costruito “ex novo” ma assemblato nelle sue antiche, precedenti componenti da parte di governi oligarchici. Anche il fascismo non ha modificato che parzialmente le strutture unitarie, spesso accentuandone le radici illiberali e soltanto nel secondo dopoguerra l’Italia si è dotata di istituzioni democratiche e liberali che però coprono una realtà per molti aspetti ancora arcaica dove gli interessi di singoli e gruppi hanno la meglio sul bene comune e la cultura civica è del tutto insufficiente. La pubblica amministrazione è parte dello stesso sistema politico in cui prosperano spesso sia l’inefficienza che la corruzione; diventa così quasi impossibile tagliare la spesa pubblica che tutti giudicano eccessiva ma di cui non si conoscono i dettagli.

Durante gli ultimi governi Prodi, per la verità, c’è stata una maggiore attenzione verso i problemi strutturali della nostra economia: il debito pubblico era stato ridotto dai 120 miliardi attuali a 103, lo “spread” con i “bund” tedeschi era a quota 32, ora oscilla oltre i 400 punti, il bilancio pubblico presentava un avanzo primario cioè, al netto degli interessi sul debito, le entrate superavano le spese.

Questa impostazione virtuosa è stata però travolta dalle divisioni all’interno del centrosinistra e infine vanificata dall’incredibile ottimismo del centrodestra che ha sottovalutato la crisi, accreditando la tesi di un Paese che non esiste nella realtà e affidando la gestione della politica a un personale chiaramente al di sotto dei limiti di competenza.

Le conseguenze erano prevedibili e inevitabili e il nuovo governo Monti ha potuto soltanto restituire decoro e dignità al nostro Paese. La via per il risanamento è lunga e difficile e il Parlamento è sempre quello eletto nel 2008, chiaramente superato.

Siamo a un punto di non ritorno perché, come ha ricordato il capo dello Stato, “eravamo sull’orlo di una catastrofe”, da cui possiamo uscire con le nostre capacità e quelle europee di fare un salto di qualità.

Anche se il passato si colora spesso di un senso appagante di nostalgia, non bisogna farsi illusioni: fuori dall’Europa il nostro futuro sarebbe molto più difficile.

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