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Attualità

OCCHI CHE PARLANO

MANIGLIO BOTTI - 24/12/2011

 Il dolore e la sofferenza nello sguardo. Gli occhi che parlano. Su queste proposizioni, che possono anche apparire banali nella loro genericità, si sta cominciando ad affermare una scienza affascinante, profonda e prodiga di risultati.

A dirlo è una studiosa varesina, la dottoressa Luisella Magnani, docente di linguistica generale a Varese. La nuova disciplina si chiama psicolinguistica oncologica ed è nata – scrive Luisella Magnani – il 17 ottobre 2010 alle 17, nel giorno e nell’ora in cui un bimbo leucemico “ha lasciato la sua esistenza terrena”. La notizia compare in modo semplice, come semplice – ma portatore altresì di una grande forza interiore – è l’assunto da cui prende le mosse, su una pubblicazione periodica “Il giornale del Comitato Stefano Verri”: si tratta di un comitato che Emilio e Anna Verri, i genitori di Stefano, un ragazzo varesino scomparso nel 1999 all’età di vent’anni, hanno voluto per promuovere la ricerca e la cura delle leucemie.

La dottoressa Magnani pone come premessa al suo articolo-annuncio due versi del poeta inglese Richard Crashaw (1612-1649): “Eyes are vocal, tears have tongues / And there are words not made with lungs” (Gli occhi si lasciano ascoltare, le lacrime hanno il loro linguaggio / E ci sono parole senza alcun suono). E mai come in questo, viene subito da aggiungere, la poesia corre in aiuto della ragione. E della realtà. “Se ‘gli occhi si lasciano ascoltare’ – spiega Luisella Magnani nel suo articolo –, se ‘le lacrime hanno il loro linguaggio’, se ‘ci sono parole senza alcun suono’, è bene creare nuove dimensioni linguistiche che sappiano edificare una grammatica e una semantica dello sguardo, sguardo che assorbe il linguaggio, anche, di una lacrima e di una parola ‘senza suono alcuno’. Il tutto concentrato, quindi, entro e oltre lo sguardo…”.

L’osservazione è semplice. Ma stavolta si irrobustisce nello studio e nella scienza. Quante volte, forse a ognuno di noi, è capitato di intravedere nello sguardo di un nostro interlocutore un lampo di sofferenza, ma anche di gioia: un bagliore improvviso, quasi impercettibile, eppure intenso, che ha avuto su di noi il risultato più efficace di un discorso di qualche migliaio di parole. E, spesso, più grande e più intensa è stata la forza di quello sguardo, quanto più forte e più intenso è il rapporto affettivo o di affinità che si ha con la persona di fronte.

Un bimbo molto piccolo – questa è con ogni probabilità la risposta che si è data la dottoressa Luisella Magnani, un’esperta di linguistica, quindi di parole che si esprimono in concreto con un suono o con un’espressione grafica – non ha altro modo di comunicare con l’esterno che il proprio sguardo, i propri occhi; a maggior ragione un bimbo molto piccolo – un infante – che attraversa un momento o una sfortunata stagione di sofferenza. Le parole, in fondo, da dove altro escono se non dal cuore? E gli occhi, lo sguardo, per dirla in senso lato, non sono forse i mezzi attraverso i quali parla il nostro cuore?

Se finora queste sono state – diciamo così – osservazioni dei sentimenti, sensazioni, si pensi a quali traguardi potrebbe invece arrivare una scienza che dallo sguardo sarà capace di trarre e di configurare un concreto linguaggio dell’anima. Nel dolore e nell’amore.

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