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Apologie Paradossali

INCHINI E PADRINI

COSTANTE PORTATADINO - 18/07/2014

Dopo quello di Schettino, addirittura un inchino della Madonna? Ma no! Non èla Madonnache s’inchina, semmai la schiena di alcuni portatori di un simulacro, spontanei o prezzolati. Intanto suggerisco di guardare ai fatti con i propri occhi, magari ricorrendo proprio al sito de “Il Fatto Quotidiano” che pubblica il video della processione, realizzato da un giornalista locale.

Poi ci si può sbizzarrire nelle interpretazioni, da quelli che dicono che questa è la risposta della ‘ndrangheta alla scomunica comminata dal Papa pochi giorni prima, a quelli sostengono: “Ma non lo sapevate? Chiesa, famiglia e mafie, in Italia sono la stessa cosa, hanno la stessa morale dell’opportunismo.”

Quindi bisogna stare dalla parte del coraggio, dicono i nuovi maestri: sospendere le processioni, abolire i padrini di battesimo e di cresima, magari pure i quadri della Madonna e le immaginette dei santi, visto che si trovano nelle case dei condannati e qualcuno osa portarseli in carcere e adornarne la propria cella.

Sebastiano sarebbe d’accordo. Questa volta nemmeno Onirio gli darebbe torto: anche lui ha in mente immaginette di giustizia giusta, di società perfetta, di Chiesa pura, di politici disinteressati e di calciatori vincenti.

Sono perplesso, anzi, continuo ad essere perplesso. Giustamente Sebastiano mi rimprovera di non aver preso posizione su questi fatti, anzi di aver dato buca a RMFonline la scorsa settimana per non sapere cosa dire.

Ok, lo ammetto; ho fatto molta fatica a dipanare il caso, perché non si può non partire dalla parola del Papa, che nel condannare ogni comportamento mafioso sicuramente allarga la responsabilità dai capi delle organizzazioni criminali a tutte le singole persone che vi partecipano e ne traggono beneficio, fino alle connivenze ambientali. Eppure non mi basta, vedo che troppo spesso persino la parola più autorevole (penso anche ad altri, al Presidente della Repubblica, alle personalità della cultura e alla magistratura stessa) viene usata come pretesto per cercare il colpevole o il capro espiatorio nel campo altrui.

Esagerazioni e minimizzazioni fanno parte del gioco, non lo scopro io, tanto più da quando ai titoloni di prima pagina si sono aggiunti i social network: in un tweet non ci può stare una notizia, tanto meno un ragionamento e il bipolarismo del mipiace – nonmipiace rischia di diventare una tirannia dell’irragionevolezza. Infatti in questo modo tutti votano su tutto e intanto pensiamo di abolire i voti a scuola, magari mediante un referendum su internet. Teniamoci pure, come parte imprescindibile della nazione italiana, i Fiorello, che dal palcoscenico della Rai twitta ‘Io non m’inchino’, teniamoci i tweet di Balotelli e le dimissioni di Prandelli con esilio superdorato sul Bosforo, teniamoci Travaglio (che pubblica da Mondadori) e Berlusconi (che pubblica Travaglio), teniamoci le telecronache di Caressa e Aldo Grasso che dedica un corsivo in prima pagina del Corriere a Caressa. E la consuetudine dell’inchino è talmente radicata nel nostro costume che persino “ciao” la parola italiana forse più conosciuta nel mondo, più di pizza, spaghetti e, appunto, mafia, ha una derivazione etimologica inquietante: schiavo, “sc’iavo vostro” si dicevano l’un l’altro i beneducati veneziani nel congedarsi, e il popolo frettoloso corresse in ”sci’ao” e poi in “ciao”.

Ma a me viene in mente che a corte c’è un’unica persona che impunemente non s’inchina: il buffone.

Se terminassi qui, l’articolo sembrerebbe compiuto ed efficace, qualcuno lo troverebbe icastico.

Invece no, avrei fatto anch’io il buffone, fingendo di non inchinarmi, in realtà sfruttando soltanto la debolezza dell’argomento avverso. La faccenda è talmente seria che mi conviene ricorrere ad un pensiero più alto del mio: Dostoevskij.

Ne scrivo un po’ a memoria, senza averlo riletto e senza aver ancora assistito, come alcuni di voi lettori avranno avuto la possibilità di fare, alla sacra rappresentazione del “Grande Inquisitore”, tratto da “I fratelli Karamazov”, giovedì scorso, al Sacro Monte.

Ivan, il fratello ateo e razionalista, tenta la fede di Alioscia, il fratello religioso, raccontandogli un paradossale poemetto in cui contrappone, all’amore di Cristo per l’uomo, la sapienza umana del Grande Inquisitore. Questi rimprovera a Gesù, misteriosamente e silenziosamente riapparso sulla Terra, di non aver voluto risolvere i problemi dell’Uomo, tutti i suoi problemi, simbolicamente riassunti nel trasformare le pietre in pane nella prima tentazione del Vangelo di Matteo:

“Accettando l’idea dei ‘pani’, Tu avresti acquietato un’ansia eterna e universale degli uomini… cioè questa: ‘Davanti a chi inchinarsi?’. Non c’è preoccupazione più continua e più tormentosa per l’uomo, quando è rimasto libero, che quella di trovare al più presto qualcuno davanti a cui inchinarsi. Ma l’uomo vuole inchinarsi davanti a qualcosa che sia ormai fuori discussione, talmente fuori discussione che tutti quanti gli uomini acconsentano ad inchinarsi, tutti senza eccezione… qualcosa in cui tutti credano e davanti a cui tutti si inchinino, tutti quanti insieme… E sarà così fino alla fine del mondo, sarà così anche quando gli dei scompariranno dalla terra: che importa, cadranno in ginocchio davanti agli idoli!”.

Dostoevskij adombra nella rinuncia alla libertà in cambio della soluzione dei problemi materiali la tentazione della modernità, per la società come perla Chiesa.È l’idolo della società perfetta. Ma c’è una soluzione diversa? Come salvare insieme la libertà del singolo e la coesione sociale? Dostoevskij non dà immediatamente la risposta. A me pare che non possa essere che quella con cui chiude, nell’ultima pagina, la sua immensa riflessione sul destino umano, il patto di eterna memoria tra Alioscia e i compagni del piccolo Iliuscia, al suo funerale:

“- Ed eterna memoria al piccolo morto – aggiunse di nuovo Alioscia commosso.

- Eterna memoria! – Ripeterono un’altra volta i ragazzi.

- Karamazov! – gridò Kolia. – È proprio vero quello che dice la religione, che noi tutti risorgeremo, e vivremo di nuovo, e ci rivedremo tutti, e rivedremo anche Iliusceka?

- Senza dubbio risorgeremo, senza dubbio ci rivedremo, e con gioia, con allegrezza ci racconteremo allora tutto ciò che è stato – rispose Alioscia, mezzo ridente e mezzo estatico.

- Ah, come sarà bello! – esclamò Kolia impulsivamente.

- Ma adesso basta con i discorsi, e andiamo al pranzo funebre. Non vi turbate se mangerete le frittelle. È un’usanza antica, eterna, e c’è del buono anche in questa usanza – disse Alioscia ridendo – Su, andiamo! Ecco camminiamo così, tenendoci per mano.

- E così per sempre, tutta la vita tenendoci per mano! Un urrà per Karamazov! – gridò Kolia un’altra volta con entusiasmo, e ancora una volta tutti i ragazzi ripeterono il suo grido”.

Dostoevskij intende dire che il fondo della natura umana è buono e che libertà è essenzialmente possibilità di fare il bene.

E noi, qui e ora? Cerco di dire qualcosa, pur correndo il rischio di ricadere nel moralismo più scontato. Perdonatemi se mi viene in mente solo questo: che ognuno debba fare fino in fondo e bene il proprio compito.

E parto dalla testa.La Chiesa. Maera una processione religiosa, quella? Rivedete il video. E i padrini? Certo che non è una specie di patto di sangue, che devono invece garantire e accompagnare l’educazione religiosa del figlioccio, sono una cosa seria, anche se non fanno parte del sacramento. Il parroco ha il diritto e il dovere di valutarli e deve avere il coraggio di dire qualche no. Forse anche al Vescovo si addice di più guidare qualche processione vera, e sostenere il discernimento dei suoi sacerdoti, piuttosto che chiudere bottega. Forse da qualche parte, anche in Calabria, ci sarà l’usanza delle frittelle o qualcosa di simile, ma il punto è guardare l’essenziale, Cristo, e orientare la vita a Lui, con intensità. La sciatteria della processione era ben peggiore delle frittelle e persino di quella breve sosta chiamata inchino.

E vengo al corpo, la società e lo Stato. Magistratura e forze dell’ordine hanno bisogno di vedere chi spinge e chi frena tra i portatori del simulacro per capire chi è affiliato a una cosca? Tutto questo pandemonio risponde a qualcosa di più sostanziale dell’esigenza di fare colpo tra i mezzi di comunicazione? E non c’è forse bisogno di un opera educativa quotidiana e profonda, della presenza di uno Stato che si faccia rispettare ogni giorno, non solo alla festa del patrono e che ogni giorno meriti questo rispetto?

E chi sono Chiesa e Stato se non i fedeli e i cittadini cioè noi? E se noi non siamo né buoni fedeli, né buoni cittadini, da che cosa attendiamo qualcosa di buono?

 

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