Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Apologie Paradossali

ESPLORARE SE STESSI

COSTANTE PORTATADINO - 03/10/2014

??????“Beh, adesso smettila con questa storia dell’orizzontale e verticale, la prima volta mi ha incuriosito, la seconda era interessante, la terza mi ha mandato in confusione, tu e la tua Scozia…”.

La rampogna di Conformi ha qualche fondamento. L’insistenza su una chiave interpretativa puzza di schematismo. Certamente il punto manchevole dell’apologia della scorsa settimana stava nella pretesa di ricondurre fatti troppo diversi ad un orizzonte comune, senza aver affrontato prima la fatica di una esposizione adeguata dei fatti, così da poter giustificare la conclusione che imponeva di guardare verso l’alto, per evitare che il mondo, ridotto alla sola dimensione orizzontale, ci appaia come un campo di battaglia dove tutti sono potenzialmente nemici, le amicizie sono solo provvisorie alleanze o interessate complicità. Guardare verso l’alto era la trasparente metafora per sollecitare a guardare verso l’Altro, per poter capire che anche l’altro (minuscolo) non è solo un limite, un ostacolo che mi impedisce di vedere e di andare oltre, ma una risorsa, un aiuto concreto a superare il mio limite.

Oggi, caro Sebastiano, ti offrirò un esempio, non un’apologia, molto paradossale di verticalità. Temo che piacerà di più al comune amico Onirio Desti, ma sforzati anche tu, almeno di leggere fino in fondo!

Ecco il fatto. Il curatore del Museo Bodini, Daniele Astrologo (il nome non è inventato) ha scovato un personaggio raro cui dedicare una mostra, un alpinista, scrittore e pittore del secolo scorso, Eugenio Fasana. Notevole soprattutto come alpinista, attivissimo come scrittore di montagna, dotato di mano e di visione non comuni come artista, ha subito suscitato in me ammirazione e invidia, per quello che ha realizzato e che io non ho saputo fare, (penso alla fatica per ripetere, da secondo in cordata, una sua via in Grigna, aperta sessant’anni prima).

Quindi soprattutto invidia, dell’alpinista più che dell’artista. Invidia di chi ha potuto esplorare se stesso, i propri fini ultimi col doppio metro della scalata e della pittura. Lo scalatore cerca un oltre sopra la propria statura fisica, l’artista lo cerca sopra la natura morale propria e del prossimo. Fasana è anche scrittore: qui posso avvicinarmi un po’ di più, con cautela. M’incuriosisce la sua affermazione di “don chisciottismo”, come caratteristica dell’alpinista, il suo rincorrere un ideale visibile solo a lui.

Più recentemente e più sobriamente gli alpinisti sono stati definiti “conquistatori dell’inutile”: ma questa è l’espressione che meglio definisce la natura del bello. Si dice che il bene e il bello convergono con l’essere: nessuno ha mai osato aggiungere l’utile a questa triade. Il piacere, anzi il bene, che ricevo dal contemplare un’opera d’arte, è del stessa natura di quello che ho davanti a un tramonto: è mio, intimamente mio, non posso appropriarmene. Certo, posso acquistare l’oggetto bello, ma quando lo mostrerò ad altri (è questo lo scopo stesso dell’acquisto) la sua bellezza si trasmetterà anche a loro. La bellezza fa letteralmente scoppiare la dicotomia utile/inutile: il bello è utile al soggetto proprio in quanto inutilizzabile economicamente, di impossibile appropriazione. Il bello diventa “ utile” in quanto permette un’esperienza, cioè un cambiamento interiore del soggetto, di cui solo quel singolo è pienamente consapevole, che solo lui può, se vuole, comunicare e condividere.

L’alpinista classico esegue l’arrampicata esattamente come una performance artistica, con l’aggiunta di una difficoltà molto maggiore nel documentarla e nel comunicarla. Propriamente il modo più concreto è invitare altri alla ripetizione. Non è per vanagloria che si aprono vie nuove e si scrivono dettagliate relazioni tecniche e si disegnano tracce di “vie” su fotografie, si scrivono articoli e libri, si pubblicano raccolte fotografiche, si fanno conferenze con diapositive supporti multimediali.

Il nostro Fasana e non molti altri ci hanno trasmesso le loro emozioni anche con la pittura, scegliendo uno strumento di comunicazione più difficile, per la necessità di unire due diversi e rari talenti e per quella più sottile di non cadere in abusati stereotipi: la montagna bella, ma lontana, ridotta a paesaggio, a sfondo o, al contrario, l’alpinista eroe sfortunato, vittima della tragedia. È purtroppo ovvio che la gente comune si interessi alla montagna solo a causa di queste due sollecitazioni, la piacevolezza e la retorica.

Nelle opere di Fasana c’è qualcosa di più: si sente vibrare ancora l’emozione, la gioia e la vittoria sulla paura di chi quella montagna ha scalato, si sente il pericolo superato e la chiara pace che ne è stato il premio finale. Per questo motivo, la visita alla mostra potrebbe regalare una gioia profonda anche a chi non fosse un alpinista provetto.

L’amico Onirio, che come me da giovane ha molto desiderato di vivere dal di dentro la bellezza della montagna (ma ci è riuscito ancor meno di me) mi suggerisce di ricordarvi che la mostra è aperta al Museo Bodini di Gemonio solo il sabato e la domenica fino al 23 dicembre (10.30/1230, 15/18.30).

 

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login