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Economia

LAVORO, LA CHIAREZZA DI FRANCESCO

GIANFRANCO FABI - 24/10/2014

papaIl tema del lavoro non è mai stato come negli ultimi mesi al centro del dibattito politico. E non senza ragioni. La disoccupazione ha infatti ormai raggiunto un livello di forte allarme sociale: una persona su otto e un giovane su tre non hanno un’occupazione. Ed è così in (quasi) tutta Europa con le sole eccezioni, positive, della Germania, e negative della Grecia e della Spagna.

Eppure, pur condividendo tutti a parole la necessità di creare le condizioni per una ripresa economica che porti con sé la creazione di nuovi posti di lavoro soprattutto in Italia, questo tema ha fatto emergere tutti i vecchi mali di una politica e di un sindacato fermi nella difesa di vecchi modelli e di superati privilegi. Va dato atto al premier, Matteo Renzi, di aver messo fin dall’inizio la riforma del mercato del lavoro ai primi posti nell’attenzione del Governo: e la volontà di fare qualcosa di nuovo è stata espressa anche nel nome, jobs act, un nome all’inglese quasi come questo dovesse essere un certificato di modernità.

Ma dopo i primi provvedimenti, come quello riguardante l’estensione dei contratti a termine, la discussione si è impantanata tra le schermaglie di partito, gli ultimatum sindacali e le risse ideologiche: con al centro quell’articolo 18, quello sui licenziamenti individuali, un articolo che da tanti anni costituisce insieme un punto di principio per i conservatori (estrema sinistra compresa) e un alibi per l’incapacità dei riformisti di compiere dei veri cambiamenti che vadano oltre questo problema.

Sull’articolo 18 la politica bizantina e gattopardesca ha sempre dato il meglio di sé: far finta di cambiare qualcosa per non cambiare nulla. E il sindacato ha mantenuto la strategia del catenaccio senza accettare il fatto che sul lavoro in momenti come questi bisogna giocare all’attacco, valorizzare il merito, dare fiducia alle persone e alle imprese. Come scrive Luigino Bruni nel suo ultimo libro “Fondati sul lavoro”: “Oggi l’Italia non sta sprofondando perché nonostante tutto ci sono milioni di persone, uomini e donne, lavoratori e imprenditori, che ogni mattina si alzano per fare il loro dovere, che cercano di risolvere i problemi loro e degli altri, di essere innovativi attingendo alla loro creatività”.

È questa la società civile: “Se vogliamo uscire da questa crisi – scrive ancora Bruni – dobbiamo innanzitutto rendere possibile la vita a queste persone e suscitare, soprattutto tra i giovani, un nuovo entusiasmo e nuove iniziative imprenditoriali”.

Com’è distante il dibattito politico da questa impostazione! Come appare difficile verificare nell’esperienza quotidiana quel drastico richiamo che Papa Francesco si è sentito in dovere di fare ai primi di ottobre sottolineando “il diritto fondamentale al lavoro che non può essere considerato una variabile dipendente dai mercati finanziari e monetari. Esso è un bene fondamentale rispetto alla dignità, alla formazione di una famiglia, alla realizzazione del bene comune e della pace”.

Certo il compito della politica non è facile, soprattutto in un momento di crisi e soprattutto se non si è messo fieno in cascina negli anni in cui c’era ancora una pur limitata crescita economica. Non è facile, ma è necessario, evitare la crescita delle disuguaglianze e delle povertà perché – ha affermato Papa Francesco – “mettono a rischio la democrazia inclusiva e partecipativa, la quale presuppone sempre un’economia e un mercato che non escludono e che siano equi. Si tratta, allora, di vincere le cause strutturali delle diseguaglianze e della povertà”.

La responsabilità della politica sono grandi, anche perché in un mondo globale la lotta alle disuguaglianze deve essere un impegno di tutti i paesi, ma non possono che entrare in gioco anche le responsabilità di ciascuno di noi. Perché ognuno di noi è parte del mercato, è protagonista della democrazia, è artefice del proprio lavoro. Perché il vero patrimonio della società sono le persone, con il loro spirito di innovazione, molto prima dei capitali, del sistema finanziario, della tecnologia, dei vincoli di leggi e regolamenti. Dare fiducia alle persone, soprattutto ai giovani, è allora un momento fondamentale. Perché non si risolvono i problemi nuovi con i vecchi schemi. Se è vero che gli attuali studenti delle scuole superiori lavoreranno tra dieci anni in imprese che non ci sono ancora, bisogna allora permettere a queste imprese di nascere, di crescere, di sfruttare in maniera nuova le grandi opportunità di questo nuovo mondo. Con la tecnologia, il denaro, il mercato che devono essere non dei fini, ma degli strumenti al servizio di ogni persona.

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