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Editoriale

INCERTEZZA

MASSIMO LODI - 09/01/2015

incertezzaUn sostantivo da abbinare all’anno nuovo? Scusate il deficit di fantasia, ma è incertezza. Incertezza nella politica, nell’economia, nella società, nella vita quotidiana. Lo scenario appare immodificabile: obiettivi mai chiari, modi per conseguirli idem, fiducia in se stessi e negli altri scarsa. Non per essere gufi, adeguandosi all’affabulazione della moda rottamatrice, e invece per essere realisti: si annunziano tempi da affrontare alla giornata, oggi è così, domani chissà, figuriamoci dopodomani. Certo, fa bene chi incita all’ottimismo, guai se mancasse: la rassegnazione è il peggior nemico. Però speranza non vuol dire nascondimento delle evidenze. E le evidenze han tinte ripetitivamente fosche.

Qualche esempio. Sull’Europa (1) incombe la minaccia del verdetto elettorale greco. Potrebbe derivarne uno tsunami continentale, se vincesse la sinistra, abiurasse la moneta unica, prendesse decisioni di segno opposto a quelle raccomandate dal governo di Bruxelles e specialmente dal buonsenso. Uscire dall’euro significherebbe entrare all’inferno, con buona pace di leghisti e grillini nostrani.

Sull’Italia (2) pende la spada di Damocle dell’avvicendamento al Quirinale: a seconda della maggioranza a suo sostegno, il successore di Napolitano eserciterà un’influenza piuttosto che un’altra sul futuro delle riforme. Il problema non è chi sarà il nuovo capo dello Stato, ma che cosa ne sortirà: un rafforzamento di Renzi o il contrario? Se fosse il contrario, andremmo a riaprire le urne, e seguirebbe un grave danno collettivo. A proposito del premier: che spettacolare figuraccia col decreto fiscale salvaSilvio. Domanda: ma ci è o ci fa?

Su Varese (3) aleggia l’anticipato epilogo della legislatura. La giunta comunale, dopo la cacciata dell’NCD e il recupero dell’UDC, appare fragile, e anche un modesto incidente di percorso potrebbe causarne la caduta. Il pericolo è così concreto che i giochi per la corsa a Palazzo Estense nel dopo Fontana si sono già aperti. Sia a sinistra sia a destra sia nella società civile. Le future alleanze sembrano profilarsi diverse rispetto al tradizionale passato. Forse l’NCD si aggregherà in una coalizione comprendente PD e una o più liste civiche. Forse la Lega deciderà d’andare in solitudine, evitando d’accompagnarsi a Forza Italia. Forse i berlusconiani proveranno a ricreare un patto liberalmoderato recuperando il recuperabile tra NCD, UDC, movimentismo popolare d’impronta antiradicale. Forse, forse, forse. Sicurezze, zero. Inquietudini, mille. Tra zero e mille, l’insistere della mediocre cifra d’una attualità sospesa tra il dire e il fare. Gran dire e poco fare.

Sul nostro umore (4) séguita a gravare, fra tante, la sentenza di Massimo D’Azeglio (I miei ricordi, 1867), capolavoro in cui lo scrittore risorgimentale affrescò un’epoca precisa, e che tuttavia non rifiuta l’ambientazione ai tempi nostri. Dunque: “Gl’Italiani hanno voluto fare un’Italia nuova, e loro rimanere gl’Italiani vecchi di prima, colle dappocaggini e le miserie morali che furono, ab antico, la loro rovina”.

Sono passati quasi centocinquant’anni, una monarchia e alcune repubbliche, eserciti di governanti e amministratori. Però lo stile nazionale, salvo qualche lodevole eccezione, è rimasto quello: bisogna prenderne atto. Ecco perché esitazioni, dubbi e perplessità, ora che s’inaugura il 2015, non sono un optional catastrofistico e invece un dovere storico.

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