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Il Viaggio

COME IN UN FILM

GIOIA GENTILE - 06/11/2015

westLa gigantografia di James Dean ci appare all’improvviso al bordo della strada, mentre oltrepassiamo col pullman una stazione di servizio in mezzo al nulla: un deserto punteggiato da piccoli pozzi petroliferi, dove negli anni cinquanta fu girato Il gigante. Ma non ci sarebbe bisogno di questo richiamo: la sensazione di essere dentro un film è costante viaggiando negli USA, in particolare nel West.

Los Angeles. Già nel tragitto dall’aeroporto all’hotel ci si accorge di essere in un mondo diverso ma non sconosciuto, anzi, quasi familiare. Strade larghissime, tre corsie per ogni senso di marcia: in quanti film le abbiamo già viste, mentre i protagonisti si lanciavano in corse spericolate provocando carambole di auto? Poi a Downtown, nucleo originario della città, sembra di essere capitati in un altro Paese. La vita si svolge attorno all’antica missione – Nuestra Señora Reina de los Angeles -: case basse, bancarelle lungo la via principale, nella piazza un’orchestrina che suona. Ti chiedi dove siano finiti Zorro e il sergente García. Passeggiando la domenica mattina per le strade eleganti e semideserte di Beverly Hills, ti fermi a guardare la facciata di un Hotel: “Ma dove l’ho già visto?”. È quello di Pretty Woman, il Beverly Wilshire.

San Francisco. Dall’alto delle sue vie a saliscendi, poco distante dalla costa, l’isola del film Fuga da Alcatraz ti fa riaffiorare alla memoria la maschera dura di Clint Eastwood: chissà se quell’evasione è mai riuscita…

Ancora, in California, Calico, la città fantasma. Restaurata e diventata un museo a cielo aperto, è un antico paese minerario, sorto a fine 800 e abbandonato dopo che le miniere d’ oro e d’ argento si furono esaurite. Qui sembra proprio di vivere in un film western: un’unica strada, ai lati della quale sorgono le costruzioni in legno: l’ufficio dello sceriffo, la caserma dei pompieri, il saloon, l’ufficio postale, il bordello di Rosie, il negozio del barbiere-chirurgo-dentista, lo studio del prof. Smiths, che con grasso d’oca produce all’istante lussureggianti mustacchi.

Las Vegas. Ingresso in hotel. Pavimenti tirati a specchio che sembra di camminare sull’acqua, tavoli da gioco, slot-machine: un enorme casinò. Ti senti una comparsa di Ocean’s eleven o twelve o thirteen (purtroppo senza George Clooney). Di notte, nelle strade di periferia immerse nell’oscurità, ogni tanto compare un piccolo edificio scintillante di luci: sono le cappelle dei matrimoni lampo, set cinematografici di tante commedie Hollywoodiane.

E poi le strade fuori città. La mitica Route 66: come non ricordare Easy rider. E le freeway: infiniti nastri di asfalto, diritti, desolatamente vuoti; si snodano tra deserti e colline per chilometri, senza che compaia un villaggio o una stazione di servizio. Potresti veder sbucare gli Indiani dai crinali, mentre i cow-boy al galoppo radunano le mandrie. (A dire il vero, ora gli Indiani vanno chiamati “nativi americani”, come se un diverso nome potesse risarcirli della loro Storia).

E arriviamo a Kayenta, Arizona, in quella che un tempo era una stazione di posta tra la Monument Valley e il Grand Canyon, ed ora è stata trasformata parte in lodge e parte in museo; c’è anche la stanza utilizzata da John Wayne durante la lavorazione di Ombre Rosse: una minuscola camera molto spartana, che conserva ancora tutto il suo fascino. Qui gli Indiani sono di casa, questo è territorio Navajo. La Monument Valley è una distesa sconfinata di deserto rosso da cui emergono le enormi torri rocciose che abbiamo visto mille volte nei film western: ti aspetteresti di veder volare le frecce verso un manipolo di soldati assediati, mentre “arrivano i nostri” al suono della carica.

Sono completamente immersa in queste fantasticherie e sto facendo il tifo per gli Indiani, quando noto un cavaliere solitario che percorre una pista. Immagine perfetta, penso, mancava solo questo tocco. Il cavaliere si ferma ai margini di un precipizio, scende a terra, e a chi gli si avvicina propone di montare a cavallo e farsi fotografare sull’orlo dell’abisso per la modica cifra di 5 dollari (però si possono scattare più foto!). Ecco, l’incantesimo si è rotto, anche gli Indiani “non sono più quelli di una volta”. Ma poi, rifletto, quale incantesimo? Non ho fatto altro che passare da una finzione a un’altra. Meglio ammirare la Natura: indifferente, maestosa, e soprattutto assolutamente autentica.

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