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Editoriale

IL MALE

CAMILLO MASSIMO FIORI - 20/11/2015

isisLa notte del 13 novembre tutto è cambiato, nulla sarà come prima. L’Europa ha preso coscienza della fragilità della sua sicurezza, della permeabilità delle sue frontiere, della invisibilità del nemico che abita dentro le sue città.

È successo un altro episodio, gravissimo, di quella che il Papa chiama “la terza guerra mondiale a pezzi”, una guerra non convenzionale che non assomiglia a nessuna di quelle della storia passata; un conflitto asimmetrico dove l’Occidente, armato sino ai denti, con una tecnologia avanzatissima non riesce a sconfiggere un nemico impari che però possiede e usa un’ama devastante: il terrore.

I terroristi, che hanno conquistato vaste regioni dell’Asia minore i cui equilibri sono stati scardinati dalla improvvida guerra contro l’Iraq che dura da più di dieci anni, sono animati da una feroce ideologia che assomiglia da vicino al nazismo che ha contagiato l’Europa nel Novecento dove però, al posto dell’ebreo che era divenuto lo stereotipo di tutti i mali del mondo è stata sostituita una concezione strumentale della divinità. I terroristi non conoscono il Corano, soprattutto non conoscono Dio che, al più, è stato identificato in un libro e in una tradizione medioevale che, a differenza della cultura cristiana, non ha avuto evoluzione e sviluppo nel tempo.

Che cosa vogliono i tagliagole dell’ISIS? Spargere terrore e piegare l’Occidente perché rinunci ai suoi valori e alla sua secolare civiltà forgiata sul pensiero greco, sul diritto romano, sulla religione cristiana e sull’illuminismo. Purtroppo tale proposito ha trovato terreno fertile in un’Europa che ha rinunciato ai suoi valori, che ha trasformato la libertà in licenza, nel fare quello che si vuole; ha degradato la fraternità in egoismo non solo individuale ma in una diffidenza verso l’altro, il diverso, in una forma di xenofobia e di razzismo; ha piegato la legalità in un campo libero per la corruzione e la ricerca dei propri interessi in spregio alla legge, al senso civico, al bene comune e allo Stato di diritto.

Sarebbe un ulteriore errore se i fatti cruenti di questi giorni suscitassero una rivolta contro i migranti e i musulmani che risiedono in Europa che sono anch’essi vittime del terrorismo tant’è che fuggono proprio dai Paesi sotto il gioco islamico mentre quelli integrati possono portare un contributo immenso alla lotta contro il terrorismo non solo perché la loro religione si rifà ad un Dio misericordioso che si identifica con quello degli ebrei e dei cristiani, ma con la loro attività quotidiana, spesso oggetto di sfruttamento, contribuiscono alla conoscenza reciproca e all’auspicale integrazione tra i popoli e le civiltà diverse.

La “terza guerra mondiale” si caratterizza inoltre per la interscambiabilità del nemico: non solo i fondamentalisti musulmani ma anche i “convertiti” dell’Occidente; la gran parte degli autori degli attentati terroristi sono infatti europei: musulmani di seconda o terza generazione ben radicati nei nostri Paesi, francesi, belgi e anche qualche italiano. Non ci sono più frontiere ma sono scomparsi anche i fronti: o qua o di là. Gli stessi Stati arabi oltre ad essere divisi da un atavico odio tra sciiti e sunniti sono tutti portatori di una inquietante ambiguità nei confronti del terrorismo.

I “Foreign Fighters” non hanno scelto soltanto Parigi come “capitale-simbolo della prostituzione e del vizio, di degrado morale e quindi di debolezza” ma hanno scelto radicalmente per l’odio irriducibile, la violenza sanguinaria, la guerra con qualsiasi mezzo anche contro donne e bambini; costituiscono “cellule dormienti” per dividere e indebolire l’Occidente, per renderlo docile al credo “jihadista”. I terroristi nei loro numerosi attentati hanno alle spalle una rigorosa preparazione, una intelligente strategia, basi di supporto, rifugi amici e mezzi adeguati.

Quello dei “convertiti” costituisce un problema nel problema: non vengono da ambienti degradati, non da situazioni di miseria ma hanno frequentato le scuole europee e fruito del nostro “Welfare State”, spesso appartengono a famiglie della borghesia agiata. Perché questa scelta che non trova spiegazione in alcun motivo razionale o psicologico? Siamo di fronte al mistero e al fascino del Male non come semplice conseguenza di comportamenti umani errati ma nella chiave biblica di un “essere personale malvagio” che dispiega mezzi potenti, superiori alle capacità umane potenziali, per contrastare il progetto di Dio, che sarà sconfitto soltanto alla fine dei tempi.

Che fare? Contrastare la comprensibile paura è una prima parziale vittoria verso i propositi dei fondamentalisti, ma occorre anche ritrovare i valori perduti e il senso dei diritti e del loro limite

a cominciare dal vero significato dei concetti di “liberté, fraternité, égalité”.

Non si può continuare a interpretarli in senso rinunciatario rispetto alla nostra cultura, come togliere i crocefissi dalle aule e dai luoghi pubblici, sostituire i presepi (che risalgono alla tradizione introdotta nel Medioevo da San Francesco d’Assisi), cancellare le visite scolastiche alla mostra dove è esposta la “crocefissione bianca” di Chagall, cancellare il vino dalle cene di rappresentanza degli enti pubblici per “non offendere la sensibilità degli islamici”. Tutto ciò viene frainteso dai fondamentalisti la cui cultura li scambia per sintomi di debolezza e, quindi, con carattere di relativismo. Soprattutto i popoli europei non devono dividersi e frantumarsi, rinunciare alla costruzione europea che li rende sufficientemente forti per contrastare il presunto “stato islamico”.

Che cosa potrebbe fare un gruppo di piccoli e litigiosi Stati che non hanno neppure le risorse per essere economicamente autosufficienti e sono ancora in una grande crisi economica?

Chi vuole l’uscita dall’Europa e l’abbandono dell’euro vuole in realtà la comune rovina; in questo senso la Francia, ferita e umiliata, ha avuto un contegno assai più serio e dignitoso dell’Italia dove, da parte della Lega, sono volate parole che avvalorano il proposito “jihadista”.

Ci vuole più Europa e non meno; solo nell’unità dei popoli e degli stati europei è possibile una reale contro-offensiva verso l’ISIS che può contemplare anche l’intervento armato.

Le armi servono alla difesa ma non portano necessariamente alla pace; per raggiungere tale obiettivo ci vuole una realistica valutazione delle forze in campo, la collaborazione di quanti condividono la necessità della tolleranza e della comprensione reciproche, un progetto politico condiviso di sistemazione territoriale delle aree geografiche contese.

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