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Parole

DIRSI PENTITI ED ESSERLO

MARGHERITA GIROMINI - 02/06/2016

Reinhold Hanning, l’ex nazista pentito

Reinhold Hanning, l’ex nazista pentito

A molti sarà capitato di pentirsi, magari solo laicamente e banalmente, di qualche errore commesso, volontariamente o meno.

Provo sconcerto quando mi imbatto nell’uso improprio della parola pentimento, diventata grandemente equivoca: una parola di quelle che dovrebbero significare molto, ma che si è troppo svuotata nel tempo, per colpa di chi, usandola, ne ha abusato.

Il pentimento rischia di diventare come le parole cuore, che sono gradevoli e inoltre fanno rima tra loro andando spesso in coppia ma non riescono più a rimandare a significati veri.

Pentimento poggia su un etimo che indica la presenza di una pena nella persona che lo prova, una pena interiore, che sfiora la fisicità, per cose dette o fatte sbagliando, ma che pretenderebbe una ricerca personale di sincerità e di cambiamento.

Non sempre chi si pente riesce nell’intento di mostrare agli altri la propria pena, se e quando c’è.

Davanti alle telecamere o di fronte al giornalista che lo intervista, chi si dice pentito, per atteggiamenti e postura, pare invece affermare il contrario di uno stato di sofferenza per il male arrecato.

Chi osserva talvolta ne ricava un pensiero non espresso apertamente dal pentito, del tipo: va bene, ho sbagliato, vi chiedo scusa ma per favore, basta così, andiamo oltre.

Pentimenti veri e falsi? O magari solo pentimenti deboli o ipocriti?

Si pente Reinhold Hanning, tedesco di 94 anni, già guardia delle SS ad Auschwitz. Accusato di complicità negli omicidi di “almeno” 170 mila persone, è sottoposto a processo solo ora, in quanto i tribunali tedeschi prima hanno operato per processare gli alti funzionari e in seconda istanza sono passati ai casi dei “semplici” addetti. Il soldato nazista, oggi vecchio e malato, viene sottoposto a processo per aver preso parte alla “soluzione finale”.

Il pentimento Hanning l’ha esternato, dopo decenni di silenzio, con le parole pronunciate al processo: “Mi vergogno del fatto di aver visto e aver lasciato commettere ciò che era ingiusto e di non aver fatto nulla contro. Mi dispiace davvero di cuore”. Ha poi aggiunto di “deplorare profondamente il fatto di essere stato membro di un’organizzazione criminale, responsabile della morte di tanti innocenti e della distruzione di innumerevoli famiglie”.

Mentre parla, il suo volto non esprime alcun sentimento, tantomeno vergogna o pentimento.

Alle sedute del processo partecipano alcuni sopravvissuti e i familiari delle vittime. Hanno volti lividi per la perplessità, il dubbio, il disagio, la rabbia che provano di fronte ad un uomo giunto impunito a fine vita. Non dicono nulla, ormai è passato tanto tempo, settant’anni. Quelle parole, uscite flebili e senza emozione, sarebbero dovute arrivare molto prima e ora cadono nell’aula improduttive: non aleggiano né pena, né sollievo, né desiderio di punizione, solo profonda tristezza.

Ma lasciamo il caso eclatante di Hanning e di altri suoi connazionali pentiti in extremis per approdare alle miserie di casa nostra.

Possiamo contare su un lungo elenco di pentiti, da cui escludiamo quelli di mafia, camorra e altre associazioni delinquenziali perché materia complessa da trattare. Ne estraiamo qualche esempio:

Pentito, Salvatore Parolisi che, dopo aver ucciso la moglie infliggendole 35 coltellate, ottiene uno sconto di dieci anni della condanna all’ergastolo, da 30 a 20. Effetto pentimento?

Incerta l’esistenza di pentimento nel cuore del Comandante Schettino della Costa Concordia. Non si sa, tra le dichiarazioni rilasciate, tante delle quali ai giornali scandalistici, se l’ora del pentimento è arrivata anche per lui. In prima istanza, aveva avanzato una debole richiesta di scuse “Mi dispiace per quello che è successo, ma io non ho colpe”.

È pentito un altro, l’assassino della moglie Raffaella, tal Francesco Rosi, che sospira “Sono pentito. Da quel momento siamo morti in due”.

Troppe volte chi si pente pubblicamente cerca solo uno sconto di pena, dietro suggerimento degli avvocati, e così pronuncia la parola pentimento come una beffa autorizzata nei confronti delle vittime e dei loro familiari. Il pentimento va a braccetto con la richiesta di perdono agli offesi. Pronunciata con lo stesso tono di voce con cui si è affermato il pentimento: dichiarazioni formali, senza vero dispiacere e senza consapevolezza del senso da attribuire alle parole.

Nel mio piccolo mi impegno a eliminare dal mio vocabolario la parola pentirsi e i derivati pentimento e pentito. Mi riprometto di ricorrervi solo in casi estremi e quando devo esprimere forti sentimenti di vergogna per ciò che ho o avrò fatto di serio, di grave, di eticamente sbagliato.

Dunque, d’ora in avanti mi esprimerò in modo più sincero e meno retorico: mi dispiace aver speso quei soldi per acquisti superflui; sono stata sciocca a rivelare quelle informazioni alla persona che ne ha fatto un cattivo uso; non so perché mi sono lasciata prendere dall’ira; sarebbe stato meglio non danneggiare quella persona facendo la tal azione; non avrei dovuto prendere una posizione così rigida in quel frangente; se avessi taciuto non si sarebbe verificato il tal evento e così via.

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