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Opinioni

RICOSTRUIRE UN’IDEA DI CITTÀ

MICHELA BARZI - 09/09/2016

pianoLa nuova amministrazione varesina si è data tra le priorità la redazione di un nuovo Piano di Governo del Territorio. Giusto proposito, dato che la durata temporale della componente strategica dello strumento urbanistico coincide con i termini del mandato amministrativo.

Non può che essere positivo il fatto che con il nuovo PGT l’amministrazione appena eletta intenda dare alla città una visione per trasformarsi nei prossimi anni. Molto spesso nella prassi pianificatoria corrente il Documento di Piano finisce per essere una sommatoria di ambiti di trasformazione urbanistica privi di quell’indirizzo strategico che dovrebbe essergli proprio. Pensato solo come sommatoria di volumi e funzioni insediabili il suo obiettivo si riduce al generico incentivo della rivitalizzazione di un settore assai provato dalla crisi economica, vuoi per surplus di offerta e scarsità di domanda, vuoi per i limiti finanziari post esplosione della bolla che il settore medesimo ha contribuito a gonfiare. Spingersi un po’ oltre il generico proposito del rilanciamo le costruzioni pur senza sacrificio del suolo libero è quindi un primo fondamentale obiettivo che bisognerebbe darsi. Vediamo allora come è possibile impostare una strategia complessiva per trasformare Varese almeno a partire da cinque questioni fondamentali, individuate secondo una sequenza logica che va dal generale al particolare.

1 La questione della densità

Lo sviluppo a bassa densità edilizia e demografica tipica della struttura urbana di Varese ha provocato, dall’ultimo mezzo secolo a questa parte, la fuoriuscita della città reale dai suoi confini amministrativi: oggi il comune di Varese contiene solo il 40% circa degli abitanti di quell’agglomerato urbano che si estende per 10-15 chilometri oltre i confini amministrativi del capoluogo, dove vivono più di 200.000 persone. Il primo punto di un’agenda urbana per Varese è quindi quello della densità: come si definisce il rapporto ottimale tra aree costruite e libere nel tessuto urbano – che a Varese è fortemente connotato dalla presenza del verde privato – in grado di esprimere maggiore efficienza ambientale e qualità della vita per chi lo abita? Come rafforzare il senso di urbanità, fatto di quel mix di funzioni necessarie a supportare la vita dei cittadini, senza stravolgere l’identità di un luogo che si definisce (senza nessuna attinenza all’origine storica dell’espressione ma tant’è) Città Giardino? Come si rende più densa – di persone, di attività economiche, di servizi e anche di parchi e giardini pubblici – una città che si è diluita sul territorio circostante grazie al massiccio uso dell’auto privata?

2 La questione dell’area vasta

Una domanda che ha bisogno di una risposta urgente se si vuole governare la città reale, fatta dalla conurbazione che tutti sono in grado spostandosi lungo quel raggio di 10-15 chilometri e che ad esempio è stata identificata dal programma Espon (European Observation Network for Territorial Development and Cohesion), è la seguente: come la si identifica con precisione assumendo che la vecchia dimensione municipale è scarsamente efficace quando si tratta di affrontare i complessi problemi dell’ambiente urbano? Come è possibile integrare all’interno dell’area varesina i cittadini che abitano dentro e fuori i limiti amministrativi del capoluogo? In che modo pensare al governo di un territorio i cui confini sono ancora tutti da definire? Quale interlocuzione avviare con gli altri enti territoriali avendo ben presente l’ articolazione di questi confini? Governare la trasformazione della città nella dimensione dell’area vasta non è un compito dilazionabile, perché vuol dire occuparsi di qualcosa che ormai è un fatto compiuto più che un concetto della pianificazione territoriale.

3 La questione della mobilità

Ancor prima di rispondere alle domande precedenti sarebbe bene chiedersi però se quel modello di sviluppo a bassa densità edilizia e demografica e alta pervasività territoriale tipico dell’area urbana varesina possa ancora funzionare quando si tratta di affrontare alcune sfide decisive poste dalla complessità dell’ambiente urbano. La più importante è sicuramente rappresentata dal traffico veicolare che soffoca l’agglomerato urbano e che impone una riflessione sulla mobilità dei suoi abitanti a partire da una visione meno auto-centrica. D’altra parte, se la principale connotazione di Varese è una densità di popolazione che si attesta appena sotto i 1500 abitanti per chilometro quadrato – mentre una città simile per caratteristiche insediative come Como supera i 2200 – non c’è da meravigliarsi che Varese sia il capoluogo lombardo con il più alto tasso di motorizzazione, dato che disperdere gli abitanti sul territorio vuol dire generare un maggior bisogno di mobilità. Diminuire il bisogno di spostamenti in auto significa per converso rendere più denso e ricco di funzioni il tessuto urbano. Come si fa a mettere in condizione i cittadini di spostarsi agevolmente a piedi, in bicicletta e con i mezzi pubblici per andare al lavoro, a scuola, a fare le compere e ad usufruire dei differenti servizi ? In una città che ha scelto di mantenere il controllo dei parcheggi lasciando ai privati il trasporto pubblico bisognerebbe ribaltare il paradigma della mobilità urbana basato sul primato dell’auto privata se si vuole migliorarne complessivamente la vivibilità. Affrontare la questione di come l’area varesina nel suo complesso di muove significa anche intervenire su quella ferita al corpo della città rappresentata dal raccordo autostradale: nessuna politica di mobilità urbana può prescindere dall’affrontare il nodo di come si possa evitare che il traffico veicolare si riversi direttamente dall’autostrada dei Laghi nel centro cittadino.

4 La questione dell’intermodalità

Nessun ragionamento su come si muove Varese e la sua area urbana può peraltro prescindere, come per il caso del raccordo autostradale, dall’affrontare gli aspetti infrastrutturali che innervano la mobilità locale. A questo riguardo ritorna prepotentemente in campo il ruolo che esercitano le due linee ferroviarie, ovvero gli storici elementi di coesione dell’area urbana varesina con la regione metropolitana milanese. Dopo decenni di dibattito e pressoché unanime consenso sull’utilità della loro integrazione funzionalmente l’ annosa questione dell’unificazione delle stazioni sembra però sparita dall’orizzonte. Eppure nessuno scenario urbanistico può prescindere dall’affrontare il tema di un polo di scambio modale della mobilità dell’area varesina che sappia essere una soluzione per i tantissimi pendolari che ogni giorno prendono un mezzo pubblico per svolgere la loro attività lavorativa o di studio. Se si vuole diminuire la pressione del traffico automobilistico sulla città bisogna ragionare su come favorire il passaggio dalla modalità di trasporto individuale a quella collettiva nella maniera più efficiente possibile anche dal punto di vista delle risorse pubbliche che andranno necessariamente coinvolte.

5 La questione della centralità

Il fatto che Varese, ed in particolar modo il suo centro, sia un polo attrattore dei flussi provenienti dall’insieme dell’area urbana è una osservazione scontata tanto quanto lo è il traffico veicolare che durante le ore di punta si snoda lungo le vie d’accesso della città. Rafforzare le funzioni della struttura policentrica che storicamente connota Varese tuttavia non elimina l’attrattività del suo centro, la quale dovrebbe essere vista come un punto di forza ad esempio della tanto sbandierata vocazione turistica. Arrivare agevolmente nel centro storico e da lì trovare facili e frequenti raccordi con quanto di meglio qualifica la città sotto l’aspetto turistico come il sito UNESCO del Sacro Monte o con il polo espositivo di Villa Panza dovrebbe essere un elemento qualificante dei nuovi scenari di governo del territorio. A questo riguardo la questione del nuovo assetto di piazza della Repubblica – il cui posteggio multipiano interrato è stato concepito come il contenitore dei flussi di traffico in arrivo dal raccordo autostradale e dal sistema viario dell’area urbana – è decisiva e non può essere pensato come un mero assetto di volumi edilizi e di funzioni insediabili. Ancor prima del destino della ex caserma Garibaldi, del teatro e degli scenari architettonici utili alla riqualificazione della piazza, sarebbe bene capire come ribaltare l’identità di quel luogo che ora è la copertura di un posteggio con annesso centro commerciale. Si può tramutare ciò che attualmente indebolisce la fruibilità della piazza in un punto di forza per l’accessibilità ai siti d’interesse turistico e culturale della città?

In questa sede è possibile individuare solo qualche spunto per la costruzione della strategia complessiva di un piano che sia in grado di connotare il nuovo corso politico iniziato con questo mandato amministrativo. Se esso, così come preannunciato, sarà in grado di aprirsi ai suggerimenti della cittadinanza ci saranno nuove occasioni per tornare sulla costruzione di un’idea di città che per quasi un quarto di secolo è mancata ed ora potrebbe finalmente trovare il modo di definirsi.

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