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Parole

BAMBINI E STUDENTI

MARGHERITA GIROMINI - 16/09/2016

In prima elementare, anni '50

In prima elementare, anni ’50

Primi giorni di scuola: l’attenzione dei media è puntata sui problemi vecchi e nuovi del nostro sistema scolastico che si dibatte  tra le maratone degli uffici regionali e locali per aggiornare le procedure  di reclutamento del personale e le novità didattiche che entrano a fatica nelle aule.

Ma noi proviamo ad appuntare lo sguardo su un aspetto marginale, il linguaggio, alla ricerca di  qualche suggestione lontana dall’analisi socio politica.

Un bambino di sei anni che va a scuola, come viene definito, in questo nuovo ruolo che la società gli affida?

Fanciullo. Passati i tempi del “fanciullo”, termine obsoleto che permeava i primi programmi della scuola elementare post contestazione studentesca, la parola fu presa di mira dai docenti più agguerriti politicamente, ed eravamo ai programmi risalenti al lontano 1985. Che sostituirono quelli del 1955, frutto della restaurazione pedagogica messa in atto dopo l’ondata del pragmatismo americano importato dagli Alleati, ma mantennero al proprio interno la definizione aulica e letteraria  che la Treccani evidenzia nel proprio dizionario: fanciullo è “parola di uso ormai raro, limitata a un discorso di tono elevato o scherzoso”.

I legislatori ministeriali, mai sazi di burocratese, scrivevano, più di 30 anni fa: “La scuola elementare, che ha per compito anche la promozione della prima alfabetizzazione culturale, costituisce una delle formazioni sociali basilari per lo sviluppo della personalità del fanciullo…”.

Anche nelle successive tornate di modifiche ai programmi scolastici, alle soglie e già dentro il terzo millennio, la confusione terminologica ha continuato a governare i testi: fanciullo, bambino, studente, alunno, discente. Con la prevalenza, ahimè, del datato “fanciullo”.

Scolaro. Chi frequenta la scuola, specialmente elementare o media (sempre la Treccani). Ogni tanto nel linguaggio dei giornali si ritrova questa versione che richiama alla mente un’infanzia fatta di grembiulini bianchi o neri, sormontati da colletto e fiocco. Basta guardare le fotografie di cinquant’anni e più fa, che immortalano seri bimbetti, seduti in posa dietro al nuovo banco di formica, con le braccia conserte, lo sguardo rivolto all’obiettivo del fotografo ufficiale della scuola.

Questo è il bambino che possiamo chiamare “scolaro”, in posizione disciplinata, che apprende stando compostamente seduto e ascolta, abilità oggi in vistoso calo in ogni scuola e finanche nelle università. Quello scolaro, scolaro nel senso etimologico del termine, non esiste più, e noi lo lasciamo, con il suo sorriso forzato, confinato nella citata fotografia.

Passiamo ad alunno e ad allievo che, essendo stretti sinonimi, si alternano facilmente nel linguaggio sia burocratico sia giornalistico. Spesso l’uso di questi due termini, chissà perché, viene legato all’aggettivo straniero. Facile trovare scritto: “gli alunni stranieri in Italia sono circa 800.000”. Se andiamo a indagare l’etimologia scopriamo che la parola deriva dal verbo latino alimentare, allevare. Dunque alunno, e allievo, richiamano al significato forte di un essere umano che viene alimentato, nel caso della scuola, dalla conoscenza e dalla cultura, nutrito, ci si augura, da  adulti competenti e attenti alle sue necessità di apprendimento.

Studente. Il termine calza a pennello per i ragazzi della scuole superiori e spazza via ogni ambiguità. Chi frequenta una classe superiore è solo e sempre uno studente, indipendentemente da quanto poi deciderà di studiare davvero nel corso della sua carriera scolastica. A volte al giornalista scappa di chiamare “studente” anche il piccolo della scuola elementare – pardon, primaria – ma le antenne linguistiche di chi si muove nel terreno educativo si sentono richiamate a vigilare. Un bambino di prima classe non è ancora uno “studente”. Verrà per lui, e per lei, il tempo in cui potrà avvicinarsi consapevolmente allo studio individuale, ma questo solo dopo aver acquisito gli strumenti di base dello studio.

E solo di sfuggita dedichiamo poche righe al “discente” contraltare di “docente”: il primo è colui che impara da colui che insegna, senza fraintendimenti.

Si potrebbero chiamare gli alunni, gli scolari, gli allievi, i discenti, più semplicemente, “bambini” se hanno un’età compresa tra i tre e i dieci, undici anni, ragazzi se frequentano la scuola media, studenti tutti gli altri fino all’università?

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