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Attualità

L’ERA DI SILVIO

MANIGLIO BOTTI - 22/09/2016

berlusconiMamma e papà avrebbero potuto, e forse dovuto, chiamarlo Michele, come il santo arcangelo che si celebra (con i colleghi Gabriele e Raffaele) nel suo dì natale, il 29 settembre. Invece – probabilmente per qualche aggancio di famiglia – gli preferirono Silvio, il Silvio, proprio lui il Berlusca, che quest’anno, tra una manciata di giorni, festeggerà il suo ottantesimo compleanno.

Ottanta, sedici lustri (e magari lui gli anni li ha proprio contati di cinque in cinque), mica paglia, dicono qui da noi, e anche a Milano. Oddio, certo che l’incedere del tempo qualche (piccola) offesa gliel’ha recata. A proposito, tanti auguri di vero cuore per una ripresa il più possibile rapida e completa, dopo un recentissimo intervento da quella parte lì, che batte sempre forte. Offese al fisico e, soprattutto, allo spirito. Sì perché l’averlo tacciato (e condannato senza remissione, almeno in Italia) di evasione fiscale, lui che con i suoi denari in tutti questi anni l’erario l’ha sempre rimpinguato, gli brucia dentro più di ogni altra “operazione” a cuore aperto.

A noi, lo diciamo subito, così ci togliamo ogni equivoco d’intorno, il Silvio è stato sempre simpatico. Lo consideriamo il solo imprenditore italiano a essersi fatto un nome nel gotha dei ricchi, senza avere ereditato niente da chicchessia essendo partito da zero nella costruzione del suo, o quasi. Almeno così si racconta. Avrà avuto qualche aiutino, ma specialmente nel campo delle televisioni e della pubblicità, e là dove altri con nomi ben più altisonanti avevano miseramente fallito, ha messo in piedi un impero. Vuoi per assenza di leggi – ma da noi è quasi una caratteristica – vuoi per qualche sua genialata che ancora viene sottolineata e mandata a memoria nei testi di economia. Sorriso aperto, barzelletta, blazer blu, stretta di mano vigorosa, e avanti così.

Uomo di impresa, esempio probabilmente unico, e grande uomo di sport. Lo diciamo oggi che anche lui dopo tanti anni ha dovuto cedere ai cinesi, e ai loro portafogli, ma crediamo che non vi sia nessuno, tra i tifosi del Milan, nemmeno i più accesi populisti, estremisti, inveterati comunisti ecc. ecc. che non gli riconosca l’incommensurabile grandezza del suo impegno e del suo “saperci fare”, a cominciare dal giorno in cui con il suo elicottero privato atterrava in quel di Milanello, giusto in terra varesotta, per presentarsi ai giovani rossoneri, appena traslocati in campo Fininvest.

Uomo di impresa – le costruzioni (ma quanti altri ce ne sono e ce ne sono stati senza il suo appeal!) – di televisioni, di informazione, di sport, di cinema di editoria… E in ogni caso sempre lì a inanellare successi. Anche chi non ha voluto vederci chiaro – per esempio Indro Montanelli che si vide salvare il suo Giornale un po’ in affanno – può dire che non sia stato un uomo di genio, un uomo che sì ha fatto il grano, ma che ha dato anche ad altri l’opportunità di farlo. Con il lavoro.

E poi c’è la politica. Quando il Berlusca scese il campo – nel 1994 – ma si stava preparando già da diversi mesi –, anni ne aveva cinquantotto. Non più un ragazzino e nemmeno un barbogio. In quattro e quattr’otto mise insieme il diavolo e l’acqua santa. Sdoganò il Msi, facendone un fido alleato soprattutto nel Sud, e al Nord andò con la Lega, nonostante le amicizie/inimicizie, i tradimenti, i ritorni, e nonostante che il suo partito o movimento – Forza Italia – di fatto si affiancasse a Abbasso Italia… Dal ’94, quando poi sconfisse la gloriosa macchina da guerra di Achille Occhetto (ex comunista, ma lui non ci credeva né volle che ci credessero altri), al 2014 ha condizionato la politica italiana, così com’era accaduto in tutti gli altri settori in cui s’era cimentato. Non vent’anni l’uno dietro l’altro, perché non governò per così lungo tempo ininterrottamente – Romano Prodi per esempio gli diede del filo da torcere – ma una decina sì. E per gli altri dieci tutti gli s’erano dovuti adeguare.

È difficile dire che il Berlusca, che s’è sempre proclamato liberale, ma non certamente un liberale alla Cavour o alla Giolitti, sia stato capace di dare fiato alla compagine dei moderati italiani, più che del centrodestra. La nostra risposta sommessa purtroppo è no. Molti magistrati e la guardia di finanza ce l’hanno messa tutta, e alla fine qualche risultato è stato raggiunto (perché solo lui, o quasi esclusivamente lui, tra i grandi imprenditori? E gli altri? tutti puri e candidi?). Anche potentati stranieri – così si dice ma non si va lontano dal vero – si sono dati da fare per metterlo nei guai. Non parliamo di suoi presunti “amici” politici e nuovi e vecchi alleati.

 Infine il bilancio è quello che è. Inconcludente e mai chiuso. Senza fare del moralismo da quattro soldi ci pare che la statura, quella politica, più che quella fisica, del Berlusca abbia sempre necessitato di qualche centimetro di tacco in aggiunta, e la capigliatura – l’abito fa il monaco, eh sì – di qualche revisione e artificiale infoltimento. Non sbaglia, in senso lato, il beffardo che afferma che il Berlusca, in quanto alla politica, era seduto a un tavolo di poker con un tris d’assi nelle mani e si fece battere da una doppia coppia di donne. Nessun moralismo, si diceva, perché diversi eminenti della politica di questa qualità pokeristica sono sempre stati capaci di fare un merito, più che un vizio perdente. E in questo campo noi italiani siamo sempre stati indulgenti. Ma non con lui.

Ancora… Oggi tra gli ex-forzitalioti, azzurri o che dir si voglia, le acque sono confuse. Parisi val bene una messa, ma i miscredenti sono tanti. E magari non ha nemmeno tutti i torti chi afferma che il suo “figlioccio” vero, che di anni ne ha esattamente la metà, se ne stia seduto a Palazzo Chigi. Non si sa per quanto, ma intanto c’è. Un po’ la storia che si ripete, come nell’arte: il Giotto che incanta e supera il Cimabue.

La resa è sempre dura e malinconica… Che mai ne è di quell’ospedale per bambini, per esempio, che per suo merito sarebbe dovuto sorgere in Italia o in Africa? Un pochettino di nausea, solo un pochettino, non gli è ancora venuto da questo teatrino?

Le candeline su cui soffiare oggi sono ottanta. Ancora auguri… Sebbene, fuor di retorica e in controtendenza, speriamo che non riesca a spegnerle tutte d’un botto. Resti viva almeno una luce di speranza per chi una volta gli ha voluto credere.

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