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Apologie Paradossali

SÌ O NO, UN CASO SERIO

COSTANTE PORTATADINO - 22/09/2016

costituzione(S) Finalmente ti decidi a parlare di questo benedetto referendum! Però sappi che io ho già deciso per il Sì, non per una particolare simpatia per Renzi, sai che non ce l’ho, ma per due considerazioni: finalmente si fa qualcosa di nuovo, una riforma anche piccola e imperfetta è meglio di quel niente a cui siamo abituati, ma soprattutto perché il No innescherebbe un attacco di speculazione finanziaria di cui non si sente proprio il bisogno. Ci sarebbe una terza motivazione: la folla dei profeti del No è talmente composita da far pensare che le loro ragioni siano così contraddittorie da generare solo caos, in caso di vittoria del No.

(C) Per rispetto alla tua intelligenza e a quella dei lettori non mi metto a discutere le tue argomentazioni, soprattutto l’ultima.

(O) Nemmeno io le discuto, vi offro solo la mia consolidata opinione: siccome quasi tutti riconoscono notevoli imperfezioni nel testo proposto, dico che è meglio ricominciare da capo. Anzi, vista l’importanza, la quasi sacralità del testo, è doveroso affidare questo compito ad una assemblea di veri ‘saggi’, scelta a questo scopo e indipendente dal governo e dal parlamento stesso, eletto per altri scopi con un sistema fortemente maggioritario. In altre parole, quando non si tratti di modifiche marginali, e queste non lo sono, è necessario ricorrere in prima istanza al parere popolare, eleggendo una specifica Assemblea Costituente.

(C) Temendo la vostra difficoltà a dialogare, mi sono preparato una soluzione alternativa: senza la pretesa di costituirmi arbitro, vi sottoporrò di volta in volta, per più settimane, i pareri di alcuni giuristi che, dalla diversità delle loro opinioni, ci aiuteranno a formarci un’idea meno preconcetta e a non assumere l’atteggiamento da ‘campagna elettorale’ che stravolgerebbe, con scelte opportunistiche, quella che deve rimanere una questione di principio. Comincio col proporvi una lunga considerazione introduttiva, del prof. De Carli, che non è né un costituzionalista, né un politico, ma un giurista che del diritto ha una visione e un’esperienza pratica (i corsivi sono miei):

“Prima di venire alle considerazioni di contenuto, mi sembra tuttavia opportuno dire due cose sul senso odierno dell’istituzione parlamentare e poi di una costituzione. Più che una definizione solenne della conformazione e della meccanica del potere, la costituzione di un paese ha funzioni di garanzia nello spirito e secondo lo sviluppo storico del patto e del documento in questione. La garanzia è garanzia dei cittadini nei confronti delle decisioni di chi ha il potere. Questo come è noto sta all’origine (antichissima) dell’istituzione parlamentare in Inghilterra. Il consenso dei rappresentanti del popolo (Parlamento) era necessario ogni volta che il Re (potere esecutivo) intendesse chiedere dei sacrifici al popolo. Il Parlamento nasce dunque e si giustifica come organo di controllo politico del Governo. La ragione del sorgere, alla fine del settecento, delle prime costituzioni (americana e francese) è simile. Si tratta di porre delle garanzie nei confronti dello Stato-governo. A differenza che in Inghilterra ove lo Stato non ha personalità giuridica e si identifica con la comunità e politici e funzionari sono diretta espressione dei cittadini, nel continente si forma l’idea dello Stato assoluto cioè di una entità persona giuridica con poteri illimitati dal punto di vista legislativo e amministrativo. Nei confronti di tale illimitato potere si costruisce dunque l’edificio costituzionale con due obiettivi fondamentali: da un lato quello di preservare nei confronti dello Stato i diritti dei cittadini, dall’altro di limitare i poteri governativi con l’applicazione della tecnica della divisione dei poteri e della creazione di equilibri tra gli stessi (checks and balances). Ancor oggi si deve ritenere che la funzione fondamentale di una costituzione rimane la stessa: funzione di garanzia. Non entro nel merito della funzione di garanzia diretta nei confronti dei cittadini perché la riforma costituzionale non modifica nulla della prima parte della Costituzione che è appunto quella dei diritti fondamentali. Modifica invece molto del controllo parlamentare perché contiene una modifica dell’istituto parlamentare. Qui va ricordata una cosa importante. I nostri padri costituenti del 1947 sentirono fortemente l’esigenza di una garanzia costituzionale forte nei confronti del potere governativo, di un forte controllo politico parlamentare del governo e di una estesa applicazione della tecnica della divisione dei poteri e dell’equilibrio fra gli stessi. Per questo adottarono il sistema del bicameralismo paritario per la formazione delle leggi, rivestirono di rigidità le norme costituzionali, disciplinarono la Corte costituzionale, rivestirono di garanzia anche la figura del Presidente della Repubblica, resero difficili e in alcuni casi anche impossibili le modifiche delle norme costituzionali. Fin dall’inizio alcuni grandi costituzionalisti (come scusate il mio maestro Balladore Pallieri che scrisse il primo commento alla nuova Costituzione) ritennero che i poteri governativi fossero troppo sacrificati rispetto agli altri. La frequenza nei mutamenti governativi ebbe a confermare questa osservazione.”

Fermiamoci su questa prima considerazione. Credo che sulla funzione di garanzia siamo tutti d’accordo. La difficoltà comincia quando si ragiona in merito ai poteri governativi. Non potendo azzardarsi a proporre una modifica costituzionale, fin dalla prima legislatura repubblicana De Gasperì provò a rafforzare la maggioranza parlamentare facendo approvare la nuova legge elettorale, volgarmente e polemicamente denominata ‘legge truffa’ che consolidava con un modesto premio di maggioranza la coalizione che avesse superato il 50% dei voti alla Camera. Il quorum non fu raggiunto e si tornò per quarant’anni al proporzionale puro. Successivamente, la soluzione percorsa con le elezioni del 1994, dopo la crisi politica di Tangentopoli, ma anche a seguito della crisi economico-monetaria del 1993, quindi da più di vent’anni, è stata la modifica in senso maggioritario della legge elettorale, non coperta dal vincolo costituzionale, sperando di ottenere parecchi risultati convergenti: la possibilità dell’alternanza di governi realmente diversi (il contrario della stabilità che oggi si invoca), la riduzione del numero dei partiti e della influenza, leggasi capacità di condizionamento dei partiti minori, fino ad auspicare un drastico bipartitismo, la riduzione del rapporto diretto eletto ed elettore con l’abolizione del voto di preferenza, ritenuto causa di corruzione e fomento di leggi-mancia preelettorali. Né il primo sistema, Mattarellum, né il secondo, Porcellum, sembrano aver funzionato, visto che in parallelo alla riforma costituzionale il governo ha fatto approvare un nuovo sistema elettorale, ancora più drasticamente maggioritario, un po’ boriosamente definito Italicum.

(S) Ecco il punto! Tutti i critici della riforma si attaccano al ‘combinato disposto’ prodotto dal sistema elettorale maggioritario della Camera sui sistemi di garanzia giustamente ricordati dal prof. De Carli, ma è ovviamente più semplice modificare l’Italicum che affossare con il No la riforma costituzionale: a questo passo è ben disposta la maggioranza che sostiene il governo, a patto che il Parlamento trovi, se non un vasto consenso almeno una maggioranza che coinvolga parzialmente l’opposizione e consenta di eliminare il pericolo di bocciatura del referendum. Ma non mi pare che si vada in questa direzione, vista la recentissima proposta del Movimento 5 Stelle di tornare al sistema proporzionale con preferenze, su cui non esprimo opinioni per carità di patria.

(C) Vedi, caro Sebastiano, fai riemergere proprio quel coinvolgimento della contingenza politica che ovviamente influirà sul voto, ma che io mi proponevo di evitare all’interno della nostra riflessione. Mi conforta però vedere che anche tu riconosci che la principale funzione della Costituzione è di garantire i cittadini dalle pretese egemoniche di qualsiasi governo, soprattutto dalla possibilità che invada la sfera dei diritti personali, in nome di nebulose ma potenti ‘esigenze’, un tempo definite ‘ragion di Stato’. Non anticipo conclusioni affrettate, ma lasciami dire che la funzione di garanzia della costituzione deve essere valida di per sé e non può dipendere dalla legge elettorale che in Italia, caso unico tra le democrazie consolidate, sembra poter variare ad ogni soffio di vento contrario al governo in carica. Ma per questa settimana fermiamoci qui; per la prossima vi anticipo che, salvo il caso di eclatanti novità a proposito del sistema elettorale, ci occuperemo della questione dell’interesse nazionale, stretto tra le forche caudine della prevalente legislazione europea e la tentazione di ridurre gli spazi delle autonomie regionali e locali per riprendere il controllo della gestione della finanza pubblica, che mi pare il vero, irrisolto, problema di fondo, che preoccupa sia i nostri governanti, sia la cosiddetta ‘grande finanza internazionale’, di cui non si può evitare di notare l’influenza sulle vicende italiane ed europee.

(S) Sebastiano Conformi (O) Onirio Desti (C) Costante

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