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Opinioni

CINQUESTELLE: ASPETTANDO GODOT

FRANCESCO SPATOLA - 30/09/2016

5stelleRoma non è Torino, e i romani non sono torinesi. Vincitori in entrambe le città, i 5 Stelle ne hanno preso il governo con ben diverso piglio: rapido unitario ed efficientistico sotto la Mole, incerto agitato e cacadubbi all’ombra del Colosseo. Certo, diverse le personalità delle sindache, ma soprattutto diversa la situazione cittadina e delle macchine amministrative che devono incarnare e concretizzare il governo della città. Chiara Appendino s’è trovata a guidare una lucente Ferrari da far correre su un circuito di Formula 1, Virginia Raggi una carretta sgangherata e maleodorante che arranca su un tratturo sgarrupato.

La Torino post-Olimpiadi invernali che gli ex sindaci Pd Chiamparino e Fassino han lasciato in eredità è una città sana, di rigore sabaudo e insieme moderna, di respiro europeo e internazionale, con le inevitabili angustie dell’immigrazione difficile e le periferie sofferenti – da qui la sconfitta elettorale del sindaco uscente – ma in un contesto di sviluppo urbano fortemente riqualificato e rilanciato dopo il declino industriale della seconda metà del secolo scorso, con una macchina tecnico-amministrativa di prim’ordine, da decenni all’avanguardia e faro di riferimento delle amministrazioni locali italiane, in tensione finanziaria ma in un quadro di sostenibilità.

La Roma post-Mondiali di calcio e di nuoto, ereditata dal “truce” Alemanno di centro-destra e dal povero “suicida” Marino di centro-sinistra, è una città malata, soffocata dal traffico e annegata in trasporti pubblici catastrofici, assediata dai rifiuti, esplosiva in periferie devastate, trasudante prepotenza violenza cinismo e corruzione a ogni livello e in ogni alveo più minuto, vera Mafia-Capitale; “cloaca massima” senza speranza, costretta ad affidarsi alla peggior macchina tecnico-amministrativa tra tutte le metropoli europee, dove nemmeno i dirigenti d’alto grado sono più capaci di fare gare pubbliche a furia di affidamenti diretti ad amici degli amici, e se qualcuno – il “suicida” Marino – ce li vuol costringere finiscono per bloccare tutto per inettitudine assoluta, ancor più nel vortice d’una crisi finanziaria permanente sotto tonnellate di debiti.

In un contesto simile, l’impresa della Raggi è obiettivamente improba, e richiederebbe spalle grosse e politiche all’altezza, capacità istituzionali eccellenti sia come gruppo politico che come singoli amministratori, sindaca in testa. Ed ecco che la recente rinuncia alle Olimpiadi 2024, con l’alibi-foglia di fico di non voler avvantaggiare la speculazione edilizia, diventa una lampante confessione d’impotenza da parte di un movimento-partito certamente giovane ma indubbiamente pretenzioso, superbo ed arrogante nel denunciare ogni minima manchevolezza degli altri, con particolare accanimento verso il Partito democratico quale presunto traditore dei suoi legami popolari.

La stessa Raggi durante la campagna del ballottaggio ha riconosciuto al concorrente Pd Giachetti un solo merito: aver dichiarato, prima di farsi convincere dal suo partito a candidarsi, di non essere all’altezza. Come se l’unica all’altezza fosse lei, salvo incappare subito nelle sabbie mobili delle faide interne ai Pentastellati romani e dopo tre mesi scappare dalla sfida olimpica, occasione eccellente per dimostrare la proclamata “diversità” M5S e recuperare – con un piano organico d’interventi, focalizzati sulle manutenzioni ordinarie e straordinarie – sia gli impianti sportivi obsoleti o mai finiti o abbandonati dei Mondiali precedenti sia le cadenti infrastrutture viabilistiche, di trasporto e di servizi della capitale italiana, ottimizzando costi e benefici secondo il modello di Barcellona.

Insomma, chi si è sempre proclamato primo della classe disprezzando e irridendo gli altri si riveste improvvisamente di prudenza, preferendo attendere una propria maturazione di là da venire. Come ad avverare la battuta di metà febbraio della senatrice pentastellata Paola Taverna: “C’è un complotto per farci vincere a Roma”, che palesava tutti i timori di impreparazione serpeggianti nel movimento. Timori analoghi a quelli che su un altro fronte, ancora più pesante a livello nazionale, quello della legge elettorale, li inducono a rifiutare in toto il principio maggioritario che informa il cd. “Italicum”, approvato dal Parlamento su impulso del Governo Renzi e che nella situazione tripolare attuale li farebbe vincere a man bassa al secondo turno di ballottaggio, sia contro il Centrosinistra sia contro il Centrodestra, grazie alla trasversalità che gli permette di pescare voti tanto a destra quanto a sinistra.

Di fronte alla recente disponibilità del premier Renzi a modificare l’Italicum, i M5S da un lato denunciano l’incoerenza che avrebbe fatto cambiare idea al presidente del consiglio, dall’altro propongono una legge elettorale totalmente proporzionale (salvo la soglia minima di sbarramento per i partitini) che ci condannerebbe all’ingovernabilità, senza nessun vincitore, e alle “larghe intese” contronatura tra destra e sinistra a vita. Il loro principio è che vogliono governare solo con il 50% + 1 dei voti: o maggioranza assoluta per loro o niente, nessuna alleanza, nessun accordo, purismo pentastellato da novelli Parsifal a ogni costo, perché nessun altro merita di governare tranne loro; e nel frattempo il comodo gioco di gridare agli inciuci tra destra e sinistra per le inevitabili “larghe intese” che dovrebbero riempire il vuoto di potere ed evitare elezioni fallimentari a ripetizione.

Che si tratti di opportunismo è evidente: alle elezioni comunali, che usufruiscono del principio maggioritario con doppio turno di ballottaggio e sulle quali è ricalcato l’Italicum, i M5S partecipano ben volentieri e non si sognano di proporre la cancellazione della legge elettorale comunale per trasformarla in senso proporzionale puro. Semplicemente, nei comuni – a parte l’empasse-Roma – si sentono pronti a governare ed accettano il premio di maggioranza, a livello statale sono ancora adolescenti e si inventano l’opportunismo della legge proporzionale per rinviare il problema.

Fino a quando i M5S resteranno minorenni? E l’Italia e gli italiani se lo possono permettere? Non è più onesto – pur con tante imperfezioni (capilista bloccati, ecc.) – il sistema maggioritario secco dell’Italicum, col premio di lista e nemmeno di coalizione, il vincitore sicuro e la responsabilità piena di governare senza inciuci, e poi giudichino gli elettori in base ai risultati? Gli italiani sono già maggiorenni, non possono aspettare la fioritura degli imberbi.

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