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Editoriale

PERDONARE

GIAMPAOLO COTTINI - 25/11/2016

guarigioneNon smettono mai di stupirci e interrogarci (e qualche volta, sulle prime, perfino di sconcertarci) talune affermazioni di Papa Francesco a proposito soprattutto di quella misericordia cui ha dedicato il Giubileo straordinario e che costituisce la cifra esplicativa del suo pontificato. Ne è esempio anche la decisione, contenuta nella Lettera Apostolica Misericordia et Misera pubblicata alla chiusura del Giubileo, di concedere a tutti i sacerdoti, in forza del loro ministero, la facoltà di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto.

Qualcuno ha voluto leggere in questo provvedimento un cedimento della Chiesa dinanzi alla gravità oggettiva del peccato di porre fine ad una vita innocente tramite l’interruzione volontaria di gravidanza, ma non è così. Non si tratta, infatti, quasi di derubricare una fattispecie di peccato dichiarandone una minore gravità, ma piuttosto di riaffermare che la misericordia di Dio non può essere fermata da nessun peccato, purché incontri un cuore pentito che non si chiude all’amore del Padre. Cioè, non è il peccato a venire declassato nella sua gravità (così da poter ricevere l’assoluzione da un qualsiasi sacerdote), ma è la misericordia che dona il perdono incondizionato di Dio rimuovendo ogni ostacolo che potrebbe frapporsi tra Dio e il cuore contrito.

Forse molti fedeli sono rimasti sconcertati da questa scelta leggendo in essa il segnale di un vago perdonismo che aprirebbe un pesante mutamento nella dottrina morale della Chiesa su un punto tanto delicato ed imprescindibile (Benedetto XVI avrebbe detto non negoziabile). Ma ciò che muove Papa Francesco è altro: far sperimentare al cuore pentito la bontà infinita del cuore di Dio, che supera ogni definizione puramente giuridica del singolo peccato in chiave di colpa e pena. La grazia precede perfino il pentimento, ma lo rende necessario perché la misericordia di Dio possa divenire operativa. Sarebbe d’altra parte, una grave incomprensione del Cristianesimo affermare che non esistono più i peccati perché tanto vengono tutti perdonati, perché la pura sottolineatura dell’infinito amore di Dio non rispetterebbe la dignità intangibile dell’umana libertà di scelta, riducendo la relazione uomo-Dio ad un puro meccanicismo e rendendo la Chiesa depositaria solo di una dottrina astratta che può essere aggiornata e addomesticata secondo le esigenze delle diverse epoche o di differenti mentalità.

Compito della Chiesa è, invece, quello di essere la tunica di Gesù, ossia il luogo in cui le ferite prodotte dal peccato vengono risanate e non cancellate, altrimenti l’uomo non avrebbe più bisogno di essere salvato da un Altro e sarebbe autosufficiente. Condurre l’esperienza della misericordia sino alle sue estreme conseguenze significa dunque non sdoganare ciò che un tempo veniva considerato male grave, ma accogliere il peccatore come uno che Dio cerca come un figlio smarrito. Questa indicazione particolare riguardante la Confessione è coerente con lo spirito del giubileo perché pone al centro la libertà dell’uomo, spostando l’attenzione dalla legge che il peccato infrange all’amore di Dio più grande di ogni colpa. Così, come il Papa ha insegnato durante l’anno giubilare, i confessori sono chiamati ad essere non il volto severo di chi condanna, ma le braccia aperte dell’abbraccio e della tenerezza di Dio.

Spesso l’uomo ragiona più in termini di giustizia che di perdono, mentre Dio ha un’altra logica, che è quella della ricostruzione della relazione, avendo a cuore il bene di ognuno nella concretezza del suo quotidiano rapporto con Dio. Ciò non conduce alla deriva relativistica ma alla realistica constatazione che ogni uomo è la sua storia intercettata dall’amore di Dio e che per questo non è parte di una casistica ma protagonista dell’azione che sceglie. Per questo il Papa riparte da Dio, lasciando ai teologi di approfondire il senso della misericordia: per lui oggi è importante che l’io riconosca Dio in azione nella storia.

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