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Zic & Zac

BERLUSCONI E POST-VOTO

MARCO ZACCHERA - 14/07/2017

Toti con Zaia e Maroni

Toti con Zaia e Maroni

Le recenti elezioni amministrative hanno sottolineato quella che è una lunga tradizione dell’elettorato italiano: più o meno il 40% vota per partiti conservatori, di destra o comunque in chiave anti-sinistra, percentuale che cresce se si assemblassero anche i voti “antisistema” e comunque critici dei confronti del governo in carica, qualunque esso sia.

Sottolineato che nei ballottaggi gli elettori Cinque Stelle tendono a coagularsi sul candidato dell’“opposizione” locale o comunque antagonista al maggioranza uscente, resta il problema di costruire questa potenziale maggioranza elettorale (o potente opposizione) dietro a un leader che sappia darle voce, passione, speranze.

Ci riuscì Silvio Berlusconi nel 1994 così come Matteo Renzi nel 2013. ma entrambi sembrano oggi incapaci di rinnovare i loro fasti più o meno recenti.

Stando sul fronte del centrodestra non c’è dubbio che servirebbe un leader giovane, propositivo, dinamico e capace di coniugare posizioni credibili, di impostazione moderata ma anche condita dal populismo necessario per far breccia nei sentimenti di un elettorato esasperato su molti temi, come è il caso – giusta o sbagliata che sia – della diffidenza quando non aperta ostilità verso il fenomeno migratorio.

Opzione Salvini? Poco credibile: per vincere serve un leader “nazionale” e – se a proporlo fosse la Lega- il rischio sarebbe forse di vincere al Nord ma fallire al Sud.

Un tecnico più o meno super partes potrebbe essere utile, ma se a proporlo fosse pesantemente Berlusconi il rischio è che venga – come per altre figure nel recente passato – assassinato in culla, “coperto” (e asfissiato) dalla sua ingombrante presenza .

Purtroppo all’ex Cavaliere manca il senso del limite e della realtà, non accetta il correre inesorabile degli anni e la realtà dei fatti ovvero che se c’è una percentuale di suoi “fedelissimi” (che al massino può arrivare al 15-20%) gran parte degli altri italiani non lo possono più soffrire e si allontanano da qualsiasi elemento di “berlusconismo”.

Tra l’altro il voto di giugno è stato un chiaro segnale dell’elettorato di centro-destra verso una unità di intenti e di liste, tutto il contrario della strategia di Arcore che punta tuttora al proporzionale con liste bloccate potendo così più facilmente manovrare – come in passato – pattuglioni di parlamentari obbedienti..

Matteo Salvini può legittimamente sottolineare il suo recente successo maturato innanzitutto perché la gran parte delle città in palio erano nel centro-nord, ma anche perché l’elettorato leghista si conferma contiguo al M5S e – se c’è alla fine da scegliere in un ballottaggio – la tentazione di dare addosso al PD è quella che oggi unisce buona parte dei due elettorati che hanno in visto in Renzi e nei suoi rappresentanti locali il reciproco nemico comune.

Se il refrain di Berlusconi di dar più fiato ai moderati potrà forse contare sul piano politico non c’è dubbio che a livello locale conta sempre di più il carattere, la notorietà, la simpatia di un aspirante sindaco e la facile critica alle gestioni precedenti.

Oltretutto Berlusconi ha visto vincere gli uomini – come Toti – a lui più lontani sul piano interno di Forza Italia e i supporter di una più stretta intesa con gli alleati in una logica tutta maggioritaria. Di qui il correre a cercare nuovi nomi senza voler accettare la novità storica – ben capita a sinistra – che è tempo di responsabilizzare e coinvolgere l’elettorato “dal basso” ovvero con elezioni primarie serie e controllabili per coinvolgere, convincere, spingere un centro-destra con anime diverse a collaborare a vicenda, unico mastice per un domani governare insieme.

Ma si vuole governare dalle parti di Arcore o di Via Bellerio oppure si punta solo a trarre profitto da una comoda quanto facile politica di opposizione?

Perché per tornare a Palazzo Chigi la coalizione dovrebbe puntare su alcune figure “politiche” ma indubbiamente moderate e di buona fama come lo stesso Toti o il governatore del Veneto Luca Zaia (che spesso più che leghista sembra un ex democristiano) ma che ha dimostrato indubbie capacità e che già oggi governa coinvolgendo le diverse “anime” della coalizione.

Il senso di responsabilità dovrebbe veder coinvolgere tutti verso candidati di questo tipo, ma più si agita, più Berlusconi sembra voler disegnare (e creare) un quadro di spaccature interne.

Alla fine potrebbe essere un comodo alibi – dopo averlo ovviamente e strenuamente negato – per alleanze proprio con Matteo Renzi in nome della governabilità del paese, soprattutto se un possibile sistema elettorale proporzionale avesse reso impossibile un governo post elettorale senza coinvolgere Grillo.

Fantapolitica? Vedrete….

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