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Cultura

VESCOVO GIORNALISTA

ALBERTO COMUZZI - 10/11/2017

stucchiNei 126 anni di vita (era nato il 17 febbraio del 1882 per iniziativa del prevosto di Lecco, monsignor Pietro Galli, del coadiutore don Giuseppe Cavanna e del tipografo Giuseppe Corti ed ha cessato le pubblicazioni nel 2008), il settimanale diocesano “Il Resegone” ha avuto come direttore, tra il 1973 e il 1986, don Luigi Stucchi, una di quelle figure di prete ambrosiano animato da profonda spiritualità prima ancora che dall’elevata cultura.

Vescovo ausiliare dal 2004, prima del cardinale Dionigi Tettamanzi, poi del cardinale Angelo Scola e oggi dell’arcivescovo Mario Delpini, monsignor Stucchi – che risiede a Villa Cagnola di Gazzada, dove è Presidente dell’Istituto Superiore di Studi Religiosi Beato Paolo VI – nei vent’anni anni vissuti a Valmadrera e a Lecco (1966-1986) ha lasciato un ricordo indelebile in molte persone che, riconoscenti, hanno promosso la pubblicazione di un libro in cui sono raccolti centosettanta degli oltre suoi seicento editoriali.

Ogni settimana, puntualmente, il Direttore del foglio diocesano (che aveva raggiunto la diffusione di oltre 40.000 copie) filtrava la realtà degli eventi presentandoli alla luce alla luce degli insegnamenti della Chiesa, da sempre preoccupata di emancipare le coscienze. Era un settimanale, quello di don Stucchi, che, legato al territorio, non trascurava, però, di documentare i fatti di rilevanza nazionale e, all’occorrenza, anche internazionale. Gli editoriali di don Stucchi potevano non piacere, ma non li si poteva ignorare. Era, insomma, una di quelle testate, il Resegone, che, come si dice tra gli addetti ai lavori, facevano opinione.

Bene ha fatto, quindi, Bruno Perboni, professionista di Valmadrera, a raccogliere nel libro “Per la vita, sempre” (pp. 336, Ed. Velar), una miscellanea di editoriali scritti dall’allora giovane direttore don Luigi Stucchi.

«Quella coltivata con l’attuale Vescovo ausiliare della nostra Chiesa ambrosiana», confida Perboni, «è un’amicizia quarantennale. A Valmadrera e a Lecco siamo in molti a ricordare le buone parole e gli utili insegnamenti di don Stucchi. Sono stati, gli anni Settanta, un periodo di forte impegno ecclesiale e civico, con molti momenti fecondi di crescita interiore propiziata anche dall’esempio di don Luigi. Raccogliere alcuni suoi scritti in una pubblicazione c’è parso un piccolo gesto di riconoscenza per il molto che abbiamo ricevuto».

Abbiamo rivolto a monsignor Stucchi alcune domande alle quali ci ha cortesemente risposto.

-          Eccellenza, quando il cardinale Giovanni Colombo la chiamò per affidarle la redazione de “Il Resegone”” che cosa provò, come reagì?

Ho compreso quanto forte era il suo desiderio di offrire anche al territorio lecchese la chiarezza della visione cristiana della vita e di tutti i suoi aspetti: una chiarezza rispettosa di tutti, come dono di luce per tutti, per questo portata dentro tutte le situazioni complesse e rischiose in ordine al significato e alla intangibile dignità della vita stessa. Sempre, senza tentennamenti, confusioni o debolezze.

“Il Resegone” come voce chiara e inconfondibile, non disposta al compromesso o alle opportunità e cambiamenti del momento. Una chiarezza al servizio del bene comune il cui fondamento scricchiola fino a rischiare di andare perduto se si cede all’opinione dominante del momento.

Ho avvertito il peso di una responsabilità nuova, non cercata ma accolta dentro i limiti della mia persona.

Di fatto nello scorrere dei 13 anni di questo specifico servizio sono state molto forti le pressioni perché “Il Resegone” cambiasse linea, diventando più accondiscendente e comprensivo per logiche diverse o addirittura avverse, pressioni talvolta anche interne al cosiddetto mondo cattolico, ma soprattutto provenienti da lobby politiche che confinavano nel privato la visione cristiana della vita e da gruppi culturali e sociali provenienti da una visione laicista e da un cambiamento della società in parte ancora sotterraneo, ma poi esploso e diffuso e di cui questi stessi gruppi erano anticipatori.

-          Negli anni di direzione del giornale quale fu l’evento, il fatto, che maggiormente faticò a far capire ai suoi lettori?

Sentivo i miei lettori molto attenti partecipi, convinti, fedeli e insieme anche confermati nel loro impegno nella Chiesa e nella società, man mano sempre più in attesa di quanto “Il Resegone” avrebbe scritto nel numero seguente, tanto è vero che il crollo dei lettori è avvenuto diversi anni dopo, ma tanti lettori, anche con visione diversa della vita, sono stati fedeli in modo dialettico e propositivo, grazie anche ai tanti incontri e rapporti tenuti e coltivati al di là delle pagine stesse del giornale.

In questa fedeltà e dialettica non individuo un punto particolare segnato da maggior fatica, quanto piuttosto una tensione costante a leggere e interpretare insieme fatti e situazioni riconducibili al senso della vita e della storia nel tessuto di tutte le relazioni nei vari ambiti dell’esperienza umana perché nulla andasse perduto e tutto fosse custodito come frammento prezioso e spesso sofferto nella vicenda umana che tutti ci vede coinvolti.

-          Diversi giovani sono cresciuti nella sua redazione, in quegli anni una vera fucina, palestra per giornalisti. Tra i suoi collaboratori spicca l’indimenticato Angelo Sala, morto ai primi di Novembre di quattro anni fa. Come riusciva a motivare i suoi redattori? Quali erano i pilastri della formazione che dava a loro?

Insieme ad Angelo Sala volti e nomi diversi sono custoditi nel mio cuore: Alberto, Franco, Rino, Davide, Emilia, Angelo ed altri meno giovani: Giulio, Luciano, Mario, Giampiero, Ines, Elvira…Aurelio come redattore che mi ha pure introdotto in questo nuovo servizio. Ho citato solo quanti hanno da tempo concluso il loro pellegrinaggio terreno. Il numero di giovani incontrati è assai più alto e a tutti sono molto grato.

A tutti i collaboratori comunque, anche a quelli non giornalisti, cercavo di far comprendere di fatto che lavorare al Resegone era lavorare per una causa molto alta motivata dal Vangelo, dalla dottrina sociale della Chiesa, dalla Chiesa stessa… e quindi la responsabilità era grande, da vivere appassionatamente e con convinzione.

Bisognava far avvertire che si era dentro insieme in una avventura superiore a interessi personali, tornaconti immediati, successi facili, e che quindi era necessario non solo un gioco di squadra affiatato, ma una visione convinta e libera della realtà complessa e sempre in movimento che un giornale assume e interpreta, per immettervi uno slancio profetico e una fedeltà indiscussa.

-          Dei seicento editoriali scritti qual è, se c’è, quello che non ha mai dimenticato per la soddisfazione che le ha dato?

Gli editoriali non sono mai nati per svolgere un tema particolare, ma piuttosto partendo da un fatto o da un problema o da un aspetto emergente del costume sociale per formulare un discernimento, suggerire o richiamare un criterio, osare un’interpretazione alla luce dell’impatto tra la vita con tutte le sua sfaccettature e imprevedibili circostanze e la nostra visione della vita, da cui viene una responsabilità imprescindibile.

Gli editoriali erano sempre una espressione di questa responsabilità in ordine al pensiero di Cristo e della sua Chiesa, con riferimenti diretti o indiretti, espliciti o impliciti, su situazioni concrete. Stavano quindi dentro uno sguardo attento e continuo, sotto una osservazione documentata e diretta nell’intreccio forte di relazioni significative, finché veniva il momento non rimandabile di mettere per iscritto. Anche di getto? Si, talvolta, ma sempre dentro lo sguardo già indicato.

Li voglio sintetizzare tutti simbolicamente nell’articolo di fondo del numero straordinario fatto nella notte tra il 6 e il 7 agosto del 1978 dopo la morte di Paolo VI dal titolo “Tra Dio e l’uomo dialogo continuo” e quello dell’11 maggio 1978 dopo la morte di Moro dal titolo “Perché non sia inutile strage”.

Dentro ci stanno tutti quelli dedicati alla tutela della vita nascente e della sua dignità inviolabile fin dal grembo materno, assumendo man mano tutti quelli che ripropongono figure esemplari di testimoni di vita, quelli che cercano un senso e una speranza nelle tragedie, quelli che accompagnano e sostengono lo sviluppo della vita nelle dinamiche educative e nelle tensioni sociali su tutti i fronti: lavoro, casa, organizzazione sociale, sanità, servizi.

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