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Storia

COMANDANTE BIANCO

MANIGLIO BOTTI - 23/03/2018

Al centro Aldo Gastaldi-Bisagno

Al centro Aldo Gastaldi-Bisagno

Ecco un nuovo appuntamento, alla fine dell’inverno, con un altro bel libro di Giampaolo Pansa, il penultimo risale alla fine della scorsa estate: “Il mio viaggio tra i vinti”. Il nuovo libro si intitola “Uccidete il comandante bianco – Un mistero nella Resistenza”, come i precedenti pubblicato da Rizzoli.

Pansa, ancora una vola, riesplora le vicende della Resistenza e della guerra partigiana nella zona tra Liguria e Piemonte, vicende che conosce molto bene per averle studiate a fondo, cui infine dedicò una sua “monumentale” tesi di laurea (un migliaio di pagine), in seguito pubblicata, presentata a Torino per il conseguimento del titolo di dottore in scienze politiche sul finire degli anni Cinquanta.

Il “comandante” bianco di cui stavolta parla Giampaolo Pansa è Aldo Gastaldi, classe 1921, detto Bisagno, che è il nome di un torrente spesso impetuoso che attraversa Genova. E anche Bisagno-Gastaldi era di Genova, diplomato perito industriale, chiamato sotto le armi nel 1941, “liberatosi” dall’Esercito dopo l’8 settembre e salito sulle montagne dell’Appennino ligure per combattere, da partigiano e con le brigate Garibaldi, i nazisti occupanti e i fascisti della Repubblica di Salò.

Anche questa volta – per tratteggiare la figura di Bisagno – Pansa fa ricorso alla voce di un narratore, che identifica nella figura di un partigiano cattolico della sua città, che è Casale Monferrato: Giuseppe Mazzucco. E pure questa volta il racconto si snoda non solo nell’indagine e nella storia della figura originalissima di Bisagno, ma in un’apertura a trecentosessanta gradi, una specie di zoom sull’epoca e in particolare sulle storie e sull’ambiente della città stessa di Pansa e di Mazzucco, Casale Monferrato, appunto.

Aldo Gastaldi detto Bisagno guidava – come s’è accennato – una brigata partigiana importante delle Garibaldi, la Cichero, dal nome di una zona dell’entroterra ligure. Le Garibaldi erano formazioni per lo più composte da militanti comunisti. Ma Bisagno era un cattolico, un cattolicissimo, una figura quasi monacale, per altro molto stimata dai combattenti che operavano al suo fianco. Giampaolo Pansa – tramite il racconto di Mazzucco – ci dice come Bisagno ogni tanto si assentasse per andare a ricevere l’Eucarestia da un sacerdote amico. Attorno a quest’immagine monacale del personaggio, votato alla verginità, ma anche al combattimento, come in altri libri di Pansa, si costruisce una “panoramica” di incontri e di storie sessuali, tra partigiani, signore sole, e quant’altro, là dove il sesso è visto come una condizione primordiale dell’uomo, quasi un motore della vita. E con il sesso le invidie, le gelosie personali, le calunnie, le mosse e le iniziative misteriose e – spesso – prive di una logica di fondo. Perché sono la vita, la storia a essere sempre piene di contraddizioni e di misteri.

Arriviamo così alla morte di Bisagno, avvenuta ufficialmente a causa di un incidente della strada dalle parti di Riva del Garda (Bisagno aveva scortato a casa un gruppo di alpini del battaglione Vestone arruolati come repubblichini nella Monterosa). Un incidente insolito, incomprensibile: Bisagno, che era sempre stato un comandante coraggioso ma accorto e prudente era salito cantando sul tettuccio di un camion, che scartò all’improvviso, Bisagno cadde sotto le ruote. L’autopsia non fu mai effettuata, soprattutto non si seppe mai – come qualcuno sospettò – se avesse ingerito veleni o sostanze stupefacenti. Era il 21 maggio del 1945, a meno di un mese dalla fine della guerra.

La tesi di Pansa è quella del delitto: Gastaldi-Bisagno era un personaggio scomodo, ingombrante, un personaggio che in una dinamica di conquista del potere da parte dei comunisti avrebbe dato fastidio. È una tesi che lo scrittore-giornalista ha sostenuto in altri libri precedenti, a cominciare dal famoso “Il sangue dei vinti”, dato alle stampe una quindicina di anni fa, suscitando le ire funeste di coloro che – a sinistra – sono stati chiamati dallo stesso Pansa i “gendarmi della memoria” e della loro assoluta verità. Anche quest’ultimo libro non ha resistito alle invettiva. Qualche settimana fa sul Corriere si poté leggere una lettera dei partigiani (di sinistra) genovesi: giù le mani da Bisagno, si diceva in sostanza.

Giampaolo Pansa non se n’è mai curato. Né nel passato né, crediamo, anche oggi. Pansa è ormai un anziano signore, bravissimo giornalista e ottimo scrittore, che si avvia a compiere gli ottantatré anni. Molte sono state le soddisfazioni che ha ottenuto nella vita professionale, tanti i dolori, anche personali. Pansa conclude questo suo ultimo libro dicendo: non lo so se ne scriverò un altro…

Il nostro augurio è che possa continuare a farlo. In omaggio alla verità e anche alla dignità dell’uomo.

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