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Opinioni

CLASSE SU MISURA

FELICE MAGNANI - 29/06/2018

insegnanteUna preside mi chiama in disparte e mi dice: “Le famiglie vogliono portare i ragazzi in un’altra scuola, tu puoi risolvermi questo problema, dovresti lasciare la tua classe e prendere questa, è l’unica soluzione”. “Comandi, va benissimo, sono a sua disposizione”.

Da una parte l’inefficienza di un corpo docente incapace di affrontare i problemi e dall’altra l’ansia di un capo d’istituto che non voleva fare brutta figura e poi il sottoscritto, “costretto” a obbedire a una richiesta che aveva tutta l’aria di un salvataggio in extremis.

Ho preso la classe, abbandonando per un anno il mio corso. Era una classe non facile, ma non tanto per bullismi, mascalzonerie o maleducazioni varie, quanto per la presenza di alunni figli della buona borghesia, quella che guarda alla scuola con aspettative molto elevate e che non accetta che i propri figli possano subire rallentamenti dovuti alla presenza di ragazzi esuberanti che mettano in discussione il cammino curricolare. Ho preso per mano la classe: poche regole molto chiare, un rapporto corretto e deciso, diritti e doveri ben allineati, impegno da parte di tutti, come lo esige un rapporto di lavoro in cui ciascuno faccia fino in fondo il proprio dovere e così anche i più allegri, quelli che erano abituati a dettar legge, si sono dovuti adeguare, accettando il mio modo di fare lezione.

Che cosa avevo più dei miei colleghi? Nulla sul piano della cultura generale e forse qualcuno era anche più preparato di me, ma c’era un problema che faceva la differenza, io sapevo come gestire la classe, come prenderla e come accompagnarla, i miei colleghi no, si lasciavano influenzare, non avevano la forza di imporre la propria personalità, il proprio metodo di lavoro e così erano spesso alla mercé della tirannia adolescenziale.

Succedeva, questo mi era stato detto, che per ingraziarsela assumessero atteggiamenti paritari, fondati su varie forme di giovanilismo e che proprio per questo non erano poi più capaci di farsi valere, di imporre la propria personalità al momento giusto.

Molte delle difficoltà di cui siamo spettatori oggi dipendono dalla non preparazione relazionale di una parte di classe docente che è preparatissima sul piano culturale personale, ma che in molti casi non sa come far passare la materia e di conseguenza anche la disciplina necessaria per permettere un transito consapevole.

Stabilire un rapporto equilibrato con la classe è il punto di partenza, saperla leggere, saper dialogare mantenendo ferma l’autorevolezza del docente, senza cadere in varie forme di leggerezza, dimostrare amore e fermezza, essere in primo piano nell’esempio, quello che convalida sul campo le cose che si affermano è fondamentale.

Il vero problema di chi lavora con i giovani è l’aspetto relazionale, credere nel proprio lavoro, farlo con passione ed entusiasmo, saper leggere le difficoltà, dare risposte ferme, umane, solidali, ma capaci di far pensare, di creare un rapporto dialettico con la propria interiorità e con i suoi rapporti con il mondo esterno.

Non è facile insegnare e soprattutto non basta essere bravissimi eruditi, bisogna saper tradurre la cultura in comunicazione, farla diventare pane di vita quotidiana, equilibrio di atteggiamenti e di comportamenti che non sono mai a senso unico, ma che chiamano in campo gli adulti con le loro difficoltà.

Dunque la buona scuola diventa veramente buona quando è capace di creare rapporti relazionali corretti, capaci di infondere passione, fiducia, coraggio, quando sa indirizzare con decisione senza costringere, quando sa creare il giusto equilibrio tra crescita e sviluppo, quando l’insegnante mantiene il suo primato non con la coercizione, ma con la forza dei propri ideali, con la giustificata fermezza di chi avendo molto lavorato con i giovani li sa guidare, indirizzare, consigliare, orientare, senza lasciarsi coinvolgere da varie forme di bullismo ante litteram.

Chi ha avuto esperienze nel mondo dell’insegnamento sa perfettamente che le confidenze si pagano, che l’esempio è fondamentale e che l’autorevolezza sta nel saper dire no con fermezza quando la situazione lo richiede. Se un insegnante dice ai ragazzi di non fumare e poi lui è il primo a farlo, se dice che bisogna arrivare in orario e lui è il primo ad arrivare sempre o quasi in ritardo, se chiede agli alunni di essere ordinati e poi lui è il primo a essere disordinato genera disorientamento e reazione e prima o poi le leggerezze si pagano.

I ragazzi non sono stupidi come a volte li immaginiamo, hanno una loro visione critica del mondo, portando dentro i semi di una crescita che abbiamo conosciuto tutti, perché tutti siamo stati giovani e abbiamo sperimentato sul campo le intossicazione di un’età che è alla disperata ricerca di conferme, di valori sui quali tentare di costruire un’identità un pochino più adeguata e consapevole.

Quando assistiamo in televisione a tutti quei fenomeni che mettono in evidenza le derive di un mondo giovanile allo sbando, forse dobbiamo chiederci, perché? perché quei ragazzi si permettono di trattare malissimo i loro insegnanti? come mai l’autorità del docente non è in grado di controbattere con fermezza le violazioni delle più elementari norme della civile convivenza? perché si arriva al punto in cui le reazioni non sono più riconducibili a una bella lezione di natura disciplinare con tutti gli annessi e connessi? perché gli alunni con alcuni insegnanti si comportano in modo corretto e con altri no?

Compito di una classe docente e di un apparato è quello di affrontare senza mezzi termini la natura dei problemi che si vanno delineando, con l’intento di sviscerarli, di entrare nel vivo, per cercare di capire da dove partano e come mai diventino esuberanti al punto di diventare atti delinquenziali perseguibili dal punto di vista penale. Forse i giovani, ma non solo, vanno messi di fronte alle loro responsabilità, gli adulti devono essere preparati al confronto/scontro, sapendo che è soprattutto da loro che dipende il successo di un sistema educativo e che i fallimenti sono la base su cui costruire il futuro.

Lasciare che le situazioni tracimino, fare finta di niente per una stupida forma di tutela della personalità, aspettare sperando che le situazioni mutino per combinazioni miracolose è assolutamente sbagliato. I problemi vanno presi per tempo, senza timori, senza tentennamenti, vanno affrontati con assoluta franchezza e determinazione nella loro dimensione individuale e in quella collettiva.

Nella maggior parte dei casi l’insegnante che sbaglia non lo vuole ammettere perché non vuole fare brutta figura oppure perché vuole mantenere alto il profilo politico delle sue idee, non vuole ammettere che anche la politica fallisce, in molti casi è troppo inquadrata per godere della libertà intellettuale necessaria per ricercare, per trovare soluzioni, per rimettere in moto la verità. Superare le proprie certezze significa aprire la possibilità di poterne incontrare altra magari più proficue e più adatte a risolvere i problemi.

Certo nella scuola come in molti altri ambiti si rende necessario fare un passo decisivo verso la verità, una verità che non sia mistificazione come in qualche caso ci hanno abituato, ma che sappia leggere con decisione le domande dei tempi. Il bullismo può avere cause precise, tempi e luoghi d’incubazione, situazioni in cui cresce e si corrobora in attesa di manifestarsi.

Per questo bisogna anticipare, fare in modo che i problemi si risolvano prima che esplodano, ma per fare questo bisogna che tutti facciamo un esame di coscienza, per rendersi conto se si stia facendo sul serio tutto quello che è necessario fare per creare una svolta decisiva in quel mondo dell’educazione che è fondamentale nella nostra storia quotidiana.

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