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Il Viaggio

UN TEMPIO E UNA FORTEZZA

GIOIA GENTILE - 20/07/2018

Tempio AccoddiA chi mi chiede che cosa ho apprezzato di più nel viaggio in Sardegna rispondo senza esitazione: “Il tempio-altare del monte d’Accoddi”. In genere mi guardano con aria interrogativa; credo lo conoscano in pochi, forse perché non rientra nei circuiti turistici tradizionali. A me, invece, sembra che rappresenti una delle due anime dell’isola, almeno per come io l’ho vissuta. L’altra anima, ovviamente, sono i nuraghi, che ne esprimono l’energia primitiva; il tempio di Accoddi ne racconta la luce e il respiro.

Si trova tra Sassari e Porto Torres e il cammino per raggiungerlo, una volta lasciato il mezzo di trasporto, già prepara all’incontro. Si percorre a piedi un ampio e pianeggiante sentiero lastricato, che si snoda tra due muretti a secco, dietro cui non è necessario sedere e mirare – come avrebbe fatto il Poeta – per fingersi l’infinito, basta guardare oltre per perdersi in un’estesa pianura di campi di grano e di prati punteggiati di papaveri e malva, interrotta qua e là da filari di cipressi e circondata da ondulate basse colline.

Al centro si erge per appena sei metri – un tempo forse erano otto o nove – il tempio-altare, non tanto alto da apparire incombente e minaccioso, ma abbastanza da consentire la visione di tutto lo spazio circostante. E’ uno ziqqurat del terzo millennio a.C., costruito su un tempio ancora più antico. Una lunga rampa ed una breve scalinata conducono alla sommità. Cinquemila anni e ancora vi si respira il sacro. Non la sacralità cruenta dei sacrifici compiuti sulla grande pietra circolare, ma quella della raggiunta armonia tra l’uomo e la natura, suggellata dall’abbraccio definitivo tra l’erba, i fiori e gli antichi resti. Ecco, lì mi sono sentita anch’io in armonia con l’universo e felice.

Emozioni completamente diverse mi ha suscitato il nuraghe di Santu Antine. Blocchi colossali di basalto, accostati e sovrapposti, modellati in modo da poter essere murati interamente a secco, si riducono gradualmente di dimensione e si avvicinano verso l’alto, fino ai 17 metri della torre centrale. Si ha la sensazione che possano collassare e chiudersi sull’incauto visitatore che voglia avventurarsi all’interno. Invece resistono da più di tremila anni. Le gallerie che collegano i diversi corpi della struttura formano volte a sesto acuto e sono illuminate da strette feritoie. Le scale che conducono ai due piani superiori sono costruite in modo che il progressivo restringersi delle pareti non crei difficoltà nella salita. L’ammirazione e lo stupore per tanta abilità ingegneristica si alternano alla sensazione di potenza e di forza che tutta la costruzione trasmette.

Se queste sono state le due esperienze più significative, la Sardegna mi ha affascinato però anche per altri aspetti, che ho potuto apprezzare grazie ad amici che la conoscono e la amano da tempo: le domus de Janas (le cosiddette case delle fate) di S. Andrea Priu, sepolture risalenti al IV millennio a.C., scavate nella roccia e modellate internamente in forma di capanna; i siti di Nora e Tharros, spalancati sul mare; i centri medioevali di Alghero e Bosa; la magia dei riflessi e delle colonne nelle grotte di Nettuno; lo spirito contestatore di Orgosolo, espresso a colori vivaci sui muri delle case; la simpatia accogliente delle persone, la loro abilità nell’artigianato; e, non ultimi, i sapori invitanti della cucina.

Soprattutto, ho rafforzato la convinzione, maturata dopo diversi viaggi in altri Paesi, che l’Italia, per le sue molteplici e differenti ricchezze, è il Paese più bello del mondo. E non credo sia un giudizio di parte.

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