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Attualità

EMOZIONI SANTE

GIANNI SPARTA' - 03/05/2019

gerusalemmeVanno, vengono, ogni tanto si fermano: ricordano le nuvole cantate da De André i frati francescani che ho incontrato in Terra Santa la settimana prima di una Pasqua tragica per la strage di cristiani a Colombo. Leggeri e soavi, mai una parola in più, essi sono amati dove l’odio erige muri, il pregiudizio divide le coscienze. Cominciò Francesco esattamente otto secoli fa: 1219-2019. Mise piede da queste parti e osò chiedere al sultano del tempo la grazia di poter custodire con i suoi confratelli i luoghi della storia di Gesù. Quello acconsentì, apprezzando il coraggio di un uomo avvolto in un saio, i piedi nudi. Da allora i suoi eredi innalzano lodi e cattedrali resistendo alle guerre che li hanno sempre circondati. Bisognerà che non passi inosservato l’evento degli ottocento anni, soprattutto ora che i mediatori internazionali della questione sono scomparsi, che le provocazioni dei falchi scivolano come acqua sul marmo, che il dramma di un popolo non interessa più a nessuno. Il monopolio israeliano ha ridotto una vasta regione a uno spezzatino, Gaza è una prigione a cielo aperto, sangue si mescola a sangue perché il terrorismo, per reazione o per fede, in ogni caso per aberrazione, non smette di tormentare questi luoghi.

Due cose mi hanno colpito ascoltando padre Francesco Patton nelle linde stanze della Custodia, il quartier generale della pace d’Assisi a Gerusalemme. La prima: più si dice che arabi ed ebrei si odieranno platonicamente per altre tre generazioni, profezia di un ortodosso con i riccioli alle tempie seduto accanto a me nel volo di ritorno da Tel Aviv, più i francescani scoprono che il fascino di Gesù entra nel cuore di tanti israeliani di oggi. La seconda: i vecchi cristiani di Terra Santa vanno scomparendo, ma ne arrivano di nuovi, migranti filippini, rumeni, etiopi, apolidi, rifugiati. In aumento anche i pellegrinaggi, dopo la desertificazione provocata nei primi anni del Duemila dalla seconda Intifada: il disagio dell’Occidente sazio e disperato trova ancora un sicuro rifugio spirituale a Gerusalemme, Cafarnao, sul Monte Tabor, in riva lago di Tiberiade.

Quante emozioni varesine in questo viaggio. La cupola della basilica di Nazaret, di fianco alle rovine della casa di Maria, è la copia conforme di quella che sormonta la chiesa della Brunella. Stesso periodo di costruzione, fine degli anni ’50, stesso progettista, Giovanni Muzio. A proposito di Brunella: ho avuto una guida eccezionale, padre Francesco Ielpo, l’ultimo parroco prima della ritirata dei frati da un luogo del cuore per la gente di Varese e come compagno di camera mi sono ritrovato frate Marco che da 54 anni è missionario in Bolivia dove ha fatto grandi cose padre Davide Cattaneo quando alla fine degli anni ’80 lasciò la nostra città. I due hanno lavorato insieme.

Entrando a Gerusalemme dalla porta di Giaffa si percorre una strada in leggera salita. Sulla parete esterna di una povera casa una lapide ricorda Paolo VI nel primo viaggio in aereo di un Papa in Terra Santa, anno 1964. Perché qui, in un luogo anonimo, questa memoria? Perché quando dissero al pontefice che in quella abitazione, al primo piano, c’era un malato grave, egli volle salire a fargli visita. Bene, al suo fianco aveva don Pasquale Macchi, il restauratore del nostro Sacro Monte, che ho immaginato, trepidante e preoccupato, proferire queste parole: “Santità, non è prudente allontanarsi”. Ma Paolo VI andò tranquillizzando il suo segretario. Abbracciò l’infermo, pregò per lui e con lui.

La penultima sera del mio viaggio ho incontrato Lucia D’Anna che è di Velate e ha trovato lavoro, e anche l’amore, a Gerusalemme: insegna violoncello al Magnificat, la scuola di musica nella Custodia francescana. Mi ha spiegato come si vive in questi luoghi complicati da comprendere per chi ci abita, figuriamoci per un pellegrino o un turista, mi ha presentato Jamil che sposerà tra qualche settimana: è un arabo cristiano, nonni di Betlemme, anche lui musicista. Li unirà in matrimonio Pierbattista Pizzaballa, il frate che il Papa ha nominato arcivescovo affidandogli il patriarcato di Gerusalemme, ma Lucia ha voluto sull’altare delle chiesa di San Salvatore don Adriano Sandri al quale deve la sua formazione cristiana. Due ragazzi seguaci di Gesù per strade diverse: una bella storia. Molti francescani di Terra Santa, soprattutto giovani, sapendomi varesino, mi hanno raccomandato di salutare padre Gianni, l’editore di questo giornale. Lo conoscono, lo apprezzano, capiscono il miracolo di Radio Missione Francescana. Con gioia trasmetto il messaggio.

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