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Società

IL SENSO DEL LAVORO È L’UOMO

GIAMPAOLO COTTINI - 31/03/2012

Nell’attuale fase di crisi economico-sociale la questione cruciale è senz’altro quella legata al lavoro e alle prospettive dell’occupazione, soprattutto giovanile. Nel mutare delle condizioni del mercato e dell’economia mondiale, cambiano i modelli organizzativi e gli stessi criteri di accesso e di permanenza nel mondo produttivo, creando non poche tensioni e preoccupazioni nelle famiglie per l’ansia di non riuscire a “farcela”. Sarebbe superficiale dire solo che tutti dobbiamo essere consapevoli dei sacrifici richiesti, se non recuperassimo accanto al legittimo diritto di lavorare con delle garanzie, anche il valore per cui – come ricordava Giovanni Paolo II nell’enciclica Laborem Exercens del 1981 – “mediante il lavoro l’uomo diventa più uomo, diventa più se stesso”. Infatti, accanto alla dimensione manipolativa del lavoro per trasformare la realtà, con cui l’uomo partecipa alla costruzione del bene comune, esiste anche (e non va dimenticata soprattutto in tempi difficili come i nostri) la dimensione soggettiva di autorealizzazione della persona, che è sempre ricerca del significato di ciò per cui si spende nella propria azione.

Il lavoro non è, infatti, solo strumento per guadagnarsi o produrre il necessario per vivere, ma ha il valore di espressione di sé e di costruzione di relazioni attraverso lo scambio di beni necessari perché tutto sia più aderente al progetto di “vita buona” che tutti desideriamo. Di questo aspetto del lavoro si parla poco, forse perché sembra meno rilevante dal punto di vista economico e meno urgente per il benessere personale e familiare, ma nessuno potrà mai sottrarre alla persona la responsabilità di dare significato alla vita attraverso l’opera delle sue mani e della sua libertà. Come Dio “lavora sempre” accompagnando la sua creazione, analogicamente anche l’uomo è chiamato a plasmare la realtà con la fatica della sua opera, soprattutto per costruire relazioni buone attraverso pratiche virtuose (come sempre raccomanda il nostro Arcivescovo), ed esprimendo in ciò l’originalità del suo essere creativo.

Non è un caso che il tema del lavoro sia oggetto dell’incontro internazionale delle famiglie accanto a quello della festa, che ricorda l’importanza di un tempo per “gioire” di quanto esiste e di gustare la bellezza del creato, ricordando che persino Dio si riposa al termine della creazione, non già perché sia stanco ma per poter godere di ciò che ha creato e che “è cosa buona”, anzi dell’uomo dice “molto buona”. L’alternanza della festa e del lavoro delinea perciò il ritmo giusto della vita umana, per cui tanto l’uomo è chiamato a realizzare i propri talenti con l’opera del suo lavoro, altrettanto ha diritto al tempo della festa, sia per recuperare le energie ma soprattutto per avere uno spazio per ringraziare di ciò che c’è.

Per questo, mentre si impegna perché ci sia lavoro per tutti, la Chiesa chiede anche di mantenere la domenica come spazio per ritrovare, nella festa, la gioia della gratuità dell’esistere come dono e la possibilità stessa di ripresa del valore quotidiano della ferialità. La difesa della domenica non solo non contraddice l’urgenza del lavoro per tutti, ma ne salvaguarda la nobiltà e la dignità, ponendo un elemento di differenza qualitativa nell’uso e nella valutazione del tempo, e ridando il senso dell’unità e della differenza tra tempo di lavoro e tempo di festa come complementari.

Per concludere, se l’emergenza occupazione incalza e rende pensosi e preoccupati del futuro, bisogna avere il coraggio di battere nuove piste, di cui solidarietà e aiuto reciproco sono le grandi opportunità proposte dalla vita ecclesiale. Ne è esempio la concretezza di iniziative di sostegno ed accompagnamento che nascono in Diocesi, segno che la Chiesa assume davvero tutto il peso dell’umano.

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