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Attualità

ADDIO A PIETRUZZU

FLAVIO VANETTI - 17/01/2020

pietro-anastasiEro tifoso dell’Inter, da bambino. L’Inter di Angelo Moratti, quella che era sinonimo di (quasi) imbattibilità. Dico quasi perché qualche sconfitta, ovviamente, arrivava. E a casa c’era mia madre che, un bastian contrario rispetto alle mie passioni sportive, si divertiva a canzonarmi quando i nerazzurri perdevano. Ricordo che una volta, dopo una sconfitta contro il Real Madrid di Gento e Amancio, infierì mentre ero a letto con una febbre da cavallo. Ebbene, questa solida fede cambiò bandiera (e quasi del tutto i colori) quando l’Inter – passata sotto la presidenza di Ivanoe Fraizzoli – non prese Pietro Anastasi. Ora che Pietruzzu  è purtroppo scomparso, quei giorni mi vengono in mente. Tifavo Varese, ma tifavo prima di tutto per Anastasi, che della squadra e della città era diventato un simbolo. Diventai allora juventino, e papà fu strafelice, ma diventai soprattutto un sostenitore incallito del “Turco” (ma quanti soprannomi ha avuto?) per il resto della sua carriera, esultando quando fece quel clamoroso gol in rovesciata alla Jugoslavia nella finale del campionato europeo 1968 ed imprecando quando un banale infortunio lo tenne lontano dal Mundial 1970. Però quando finalmente passò all’Inter, rimasi juventino – troppo tardi l’avevano preso a Milano e obiettivamente all’epoca l’affare lo fece proprio la Juve che si ritrovò un Boninsegna più reattivo – e non mi dispiacque quando Pietro tornò ad indossare di nuovo il bianconero con il passaggio all’Ascoli. Mio padre, che un po’ era introdotto nel Varese calcio, mi portò a vedere a Malnate una delle sue prime apparizioni con la maglia biancorossa. Poi una volta, in sede, me lo presentò. Stranamente, pur essendo varesino e giornalista, la mia vita ha incrociato poco o nulla la sua carriera: ricordo un paio di interviste, una per La Prealpina e una per il Varese Sport prima maniera, poi più nulla fino a ritrovarlo una sera a Comerio alla Whirpool quando fu presentato lo sceneggiato televisivo “Mister Ignis”, tratto dal libro di Gianni Spartà. Il mio affetto per Anastasi è però rimasto sempre forte, soprattutto perché aveva deciso di continuare ad abitare a Varese: mi ricordava un altro della sua terra che ho ben conosciuto e frequentato, il professor Salvatore Furia, giunto alle pendici delle Prealpi e mai più andato via. Credo anche che Pietro, secondo me davvero il Pelé bianco, sia stato un giocatore che avrebbe meritato di più. E il suo destino, che ce l’ha portato via ancora giovane, me lo conferma con un dettaglio: Pietro – al quale Varese s’è scordata di assegnare la cittadinanza onoraria – è mancato alla vigilia del settantesimo compleanno del quasi coetaneo Dino Meneghin, altra icona dello sport varesino e nazionale: due vicende da mito greco, che beffardamente si incontrano.

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