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Società

L’ANNUNCIO D’UN MONDO NUOVO

CAMILLO MASSIMO FIORI - 06/04/2012

Gerusalemme, il Santo Sepolcro

Il Cristianesimo non è tanto una dottrina, non è soltanto una religione, non costituisce un sistema sociale, ma è una persona concreta: Gesù Cristo.

Gesù non è un mito ma un personaggio esistito al centro di avvenimenti verificatisi in un determinato tempo storico, che ci sono stati tramandati da fonti non contestabili come i Vangeli, le lettere di Paolo di Tarso e altri testi pagani.

Il “fatto cristiano” ha origine nell’annuncio risonato a Gerusalemme la mattina di Pasqua dell’anno 30 che si compendia nella parola greca “eghèrthe”: è risorto. Il contenuto primordiale della fede cristiana consiste nel fatto che i contemporanei di Gesù di Nazareth, messo a morte mediante crocifissione, credettero che egli fosse veramente, realmente, corporalmente vivo.

Nessuno ha mai visto un morto che risorge ma ciò che è impossibile alla natura non è sottratto alla potenza divina che ha creato il cosmo e le sue leggi. La scienza non ha nulla da dire al riguardo perché l’evento va al di là della comprensibilità umana; essa sperimenta ciò che già esiste e la cui origine sfugge a qualsiasi prova.

Se Cristo (è la traduzione greca della parola ebraica “messia” che significa “unto”, cioè consacrato) ha vinto la morte significa che anche la condizione umana è cambiata.

Infatti la morte è la sola potenza invincibile a cui tutti sono sottomessi, è la “signora” dell’universo: se c’è uno che l’ha debellata vuol dire che ha potere sul cosmo e sulla vita. La vicenda non ci può vedere estranei, gli uomini sono mortali e l’umanità è in “stato di colpa”in quanto il peccato umano è la rottura dei rapporti con Dio.

La Bibbia che registra la parola di Dio, ci dice il “perché” ciò è avvenuto e annuncia l’opera di redenzione divina; il “come” è narrato secondo gli stilemi culturali dell’epoca. Gesù non è soltanto un inviato di Dio ma Dio stesso che si è fatto uomo; l’umanità è irrevocabilmente agganciata alla divinità e non può andare totalmente perduta e finire nel nulla.

La comunità cristiana primitiva si è trovata a compiere l’ardimento inaudito di attribuire all’uomo Gesù la qualifica di Dio. Questa verità per quanto ardua alla limitatezza della nostra mente è il cardine della fede cristiana: per una umanità soggiogata dalla colpa, immersa nel peccato, incapace di auto redimersi, un salvatore poteva venire solo dall’alto.

Il sacrificio di Cristo ci ha giustificati, vale a dire ci ha resi giusti davanti a Dio, cosicché possiamo sperare, attraverso questo evento salvifico, di essere ricostituiti davanti a Dio nello stato di giustizia.

Questa “giustificazione” raggiunge effettivamente ogni singolo uomo creato e diventa avvertibile attraverso la “conversione” interiore. Il piano di salvezza divina è compendiato in queste parole: “Se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore e crederai col tuo cuore che Dio lo ha resuscitato dai morti, sarai salvo” (Rm 10,9).

Questo è l’annuncio gioioso della Pasqua cristiana e tale comprensione/conversione è così alta che Gesù stesso ha dichiarato che essa non può essere soltanto il risultato delle capacità umane: “Né la carne, né il sangue te l’hanno rivelato – dice a Pietro – ma il Padre mio che sta nei cieli” (Mt 16,17).

Questa prerogativa divina del Cristo che appare incredibile è oggetto di un preciso quesito posto a Gesù di Nazareth durante il processo avvenuto in quella lontana primavera dell’anno 30: “Tu sei il figlio di Dio? Ed egli disse loro: lo dite voi stessi, io lo sono” (Lc 22,70).

La fede è un dono di Dio perché il suo disegno eccede infinitamente le finite capacità di accoglienza dell’uomo ed esiste una incolmabile sproporzione tra la rivelazione divina e la esiguità della mente umana; ma è anche la decisione indubbiamente difficile di accettare il dono. “Chi opera la verità, viene alla luce” (Gv 3,21); chi cerca la verità, chi ispira la propria condotta alle esigenze della giustizia, chi si affida alla ragione con piena coscienza delle sue possibilità come dei suoi limiti può trovare la forza di credere, cioè di accogliere Gesù di Nazareth, figlio di Dio crocifisso e risorto, come unico Salvatore.

La fede ci libera da tutte le ipotesi alternative: io non sono il risultato di una casualità ma “una parola di Dio detta una sola volta”; alla fine della mia esistenza non c’è il nulla ma la vita eterna; l’esperienza terrena e tutte le mie azioni non sono prive di significato; se il mio destino fosse zero anche il destino di ogni aggregazione umana (l’umanità, la patria, la famiglia, il partito, la classe) sarebbero in definitiva una somma di zeri. Il progresso, come il mondo, avrebbero come posta finale il nichilismo.

Rivelando un destino di amore precedente alla mia venuta al mondo, che continua nel futuro anche dopo di me fino alla fine dei tempi, Gesù Cristo dà senso alla mia esperienza terrena e restituisce alla mia umanità la sua pienezza.

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