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Attualità

ANDRÀ TUTTO BENE?

MANIGLIO BOTTI - 27/03/2020

pioggia“Andrà tutto bene”. I bambini – anche i miei nipotini – disegnano un arcobaleno, a significare che dopo la tempesta si tornerà alla quiete e a fare festa, con sotto le tre parolette magiche e consolatorie. E lasciano i foglietti sparsi per casa.

Gli italiani, molti italiani prigionieri a domicilio per il corona virus, si affacciano alle finestre o vanno sui balconi a cantare insieme – qualcuno brandisce anche una chitarra – l’Inno di Mameli, l’Azzurro di Celentano-Paolo Conte, il Nessun dorma della Turandot di Puccini.

E siamo appena alla seconda, terza settimana di “reclusione forzata” per evitare e ridurre il contagio, propagandata dalla tv, dove si alternano vari personaggi dello spettacolo a sostenerne la necessità. Qualche ragazzo, così pare, che prima aveva esultato davanti alla chiusura dei portoni, oggi comincia anche a essere stanco della sosta obbligata in casa e vorrebbe tornare a scuola.

Ma il picco dei contagi e dunque delle vittime – affermano gli scienziati che si avvicendano nei talk-show (ognuno dice la sua tuttavia su questo concetto sembrano essere tutti d’accordo) – non è ancora stato raggiunto. Si raggiungerà forse tra due o tre settimane, o un mese, chi lo sa.

Per un pessimista congenito, come chi scrive, è meglio tacere e subire. Sono molte le domande che si affastellano nella mente e alle quali o non sono state date risposte adeguate o indicazioni molto vaghe: perché il virus ci ha falcidiato, noi in Italia, e ha lasciato quasi intonsi – per ora – altri Paesi? Segue forse un suo percorso climatico particolare? È attirato dallo smog e dalle particelle sottili dell’aria inquinata? Il virus, davvero e come tutti dicono, si trasmette da persona a persona (mascherine, occhiali, lavarsi di frequente le mani, tossire nei gomiti…) oppure resiste anche sulle superfici? Tot ore sull’acciaio, tot sulla carta e sul legno, sull’asfalto pare di no….

Andrà tutto bene. È obiettivamente una speranza cui non ci può e non ci si deve sottrarre. Anche qui, prima o poi, ci sarà quell’acquazzone che laverà via tutti i miasmi, e per la prima volta, nonostante i dissesti idrogeologici, sarà letizia sguazzare nell’acqua purificatrice, come racconta anche il Manzoni alla fine dei Promessi Sposi.

Ma purtroppo la storia, questa terribile storia, poco si inquadra nella retorica e nella fantasia letteraria. Ogni giorno il Corriere della Sera fa fatica a presentare un titolo di prima pagina che sintetizzi la situazione, che non crei panico, che induca anche a quel barlume di speranza senza il quale sarà impossibile venirne a capo.

Per adesso i timori sono molti e restano. Il corona virus, nonostante i canti di gloria ai balconi, ha già messo in ginocchio un Paese, il nostro. Altri ne metterà. Non ci sono tregue, purtroppo, la guerra contro un nemico misterioso e invisibile continua.

Per finire, certo finirà. Non si sa se “andrà tutto bene”. Viene in mente la rassegnata ma concreta frase di un poeta – Alfonso Gatto – che, negli anni Cinquanta, lavorava all’Europeo. Un giorno si avvicinò a un giovane giornalista, Enzo Bettiza, tutto intento e chino sulla macchina per scrivere.

Che stai facendo? Gli domandò il poeta. Sto scrivendo un romanzo, rispose il giornalista. E quando lo finirai?… No lo so, tra un anno forse.

Il poeta si allontanò dalla scrivania quasi silenzioso, borbottando tra sé e sé: un anno… Quanti vivi, quanti morti.

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