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Attualità

E POI?

MANIGLIO BOTTI - 03/04/2020

“Italia d’oro” di Luciano Fabro

“Italia d’oro” di Luciano Fabro

E dopo? Che succederà dopo? È l’interrogativo che – specie sui giornali con lunghe articolesse – si pongono esperti, sociologi, politologi soprattutto. Sì, perché prima o poi, quest’infezione globale da corona virus si fermerà, e si tornerà alla vita di una volta: tutte le fabbriche e le scuole saranno riaperte, si potrà di nuovo viaggiare per il mondo, andare al cinema, a teatro, a visitare un museo, ci si potrà recare in spiaggia seduti sotto gli ombrelloni a mezzo metro l’uno dall’altro; e il virus, magari, sarà ancora tema di discussione ma non farà più paura, e non sarà necessario indossare mascherina e guanti come dei chirurghi.

Scorrendo le parole scritte in questi articoloni, tuttavia, non si capisce se questi progetti di ripresa di vita sono degli auspici o, invece, delle scadenze prossime e precise.  A parte lo stare chiusi in casa, l’evitare il più possibile contatti con chicchessia (perché è noto che il contagio si trasmette da persona a persona), il lavarsi di frequente le mani per venti secondi e cospargerle di gel igienizzante, tutte doverose precauzioni, non pare compaiano altre indicazioni più rassicuranti. Il contagio da corona virus prima o poi finirà, d’accordo, ma non si sa quando. Non si sa con certezza se chi ne è stato colpito ne è rimasto immune, oppure al primo stormir di fronde potrà di nuovo riprenderlo come un “comune raffreddore”. L’immissione di un vaccino sul mercato – nella ricerca sono impegnati i laboratori di tutto il mondo – è ancora di là da venire. Bene che vada, e sempreché il corona virus non cambi aspetto e caratteristiche, ci vorrà (così dicono gli esperti) un anno, un anno e mezzo, forse due anni.

A tutt’oggi per i “prigionieri domestici”, qual è la stragrande maggioranza dei cittadini italiani, non sono queste ottime prospettive.

Ma l’interrogativo, più sotterraneo e non per questo meno avvertito dagli “esperti” e dai cittadini comuni, specie dagli italiani, è se questo virus, una volta trascorsa la sua perfida e misteriosa pericolosità, ci avrà cambianti dentro. Saremo diventati più buoni oppure ricominceremo ad azzannarci con la bava alla bocca, come abbiamo sempre fatto da anni a questa parte?

È una domanda alla quale è molto difficile dare una risposta. Se si va a guardare a quanto accadde alla fine della Seconda guerra mondiale, l’Italia distrutta, devastata da una disastrosa guerra perduta, e anche da una sanguinosa guerra interna, pur tra mille problemi seppe risollevarsi. Ma – va ricordato subito – non si risollevò da sola, anche se ci mise del suo. I valori erano ristretti: pochi ma buoni, il lavoro, la casa, la famiglia, la solidarietà nella povertà. Ed era un’Italia giovane.

E non c’erano i social a fare da cartina di tornasole nel 1945. Oggi è più difficile dire se una ripresa dopo una catastrofe, sanitaria e globale, potrà essere improntata alla solidarietà, all’impegno comune, all’applicazione della massima evangelica di togliere prima dal proprio occhio la trave che scorgere invece la pagliuzza nell’occhio del vicino.

Scorrendo i social, appunto, dopo i canti entusiastici ai balconi e alle finestre, si notano già i sintomi di stanchezza per la relegazione forzata, le critiche astiose ai governanti e ai politici (anche il Papa, perché prega ma non paga l’Imu…) – di qualsiasi colore – che si sono trovati per loro sventura a gestire un’inopinata e sconosciuta emergenza, giudicati titubanti e confusionari. Stanno per ritornare in superficie – se non ci sono già – gli odi di un tempo: quindi gli spiriti elettoralistici, la caccia al potere e alle proprie prebende.

Sembra che la corsa riprenderà dal punto in cui ci si è fermati. Dalla strafottenza e dalla propaganda “gaudente e volgare” di un tempo. Tutti dicono (non si sa con quanta sincerità) che lavoreranno per l’Italia – forse un’Italia che saprà anche distinguersi dalla solita Europa vorace e egoista – e di amarla, l’Italia, quel che è o quel che ne sarà rimasto.

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