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Attualità

EUROPA ADIEU?

MANIGLIO BOTTI - 10/04/2020

europaTra le probabili vittime del contagio da coronavirus, se non si prende la briga di affidarsi a un respiratore automatico solidale, ci potrebbe essere lei, l’Unione europea, un’anziana “signora” di 63 anni – quanti ne sono trascorsi dai fondativi Trattati di Roma – o, addirittura, quasi settanta, se si tiene conto del trattato della Comunità europea del carbone e dell’acciaio.

La differenza di oggi con più di mezzo secolo fa, parlando dell’Unione europea, è la stessa che passa tra il sogno e la realtà. Una differenza che sta anche nei singoli nomi dei protagonisti, come nelle barzellette, e non abbiamo l’imbarazzo della scelta: ci sono un francese, un tedesco, un italiano… A caso: Christine Lagarde, Angela Merkel – due donne a testimoniare la differenza dei tempi – e Giuseppe Conte. Allora, nell’epoca lontana delle speranze: Robert Schuman, Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi.

Che cosa ha funzionato e che cosa no nell’Unione europea. Nacque per promuovere la pace, dopo secoli di conflitti, specie tra Francia e Germania. L’Italia, che usciva da una guerra disastrosamente e vergognosamente perduta, si gettò nelle braccia europee con un balzo, demandando all’Unione anche un grosso pezzo della propria sovranità, annullata nelle guerre del fascismo, che avevano lasciato morti e disperazione. Il tempo trascorso tra la Ceca (Comunità europea del carbone e dell’acciaio) e i Trattati di Roma (Comunità economica europea e Euratom) – 1951-’57 – fu di soli sei anni.

In partenza, dunque, fu un lavoro di pace. E da questo punto di vista, dal 1945, nel continente europeo sono ben trascorsi settantacinque anni di pace. Pur con qualche puntualizzazione: infatti, ed è sempre ciò che conta, i rapporti di forza – presenti la Germania e l’Italia nella Ue, almeno nella sua parte occidentale e continentale – sono stati sempre gestiti dagli Usa, grazie soprattutto all’imposizione delle loro forze militari – dalla costituzione della Nato fino alla guerra nella ex Jugoslavia –, grazie a un’immissione di denari – il famoso Piano Marshall – grazie anche a un dominio di modelli culturali.

Tornando agli anni Cinquanta, primissimi Sessanta, la richiesta, sollecitata spesso dagli italiani e – sembrava all’inizio – accettata dai francesi di un esercito unico, di un solo fronte di difesa europeo, si perse per strada. L’unione – o Cee in quegli anni – si caratterizzò così soltanto per le sue ragioni economiche e di mercato, tant’è che in questo ambito anche l’orgogliosa (ma molto interessata) Gran Bretagna cominciò a premere per farsi largo nella Cee. I suoi obiettivi presumibilmente non erano quelli di farne parte come un primus inter pares, ma di controllo e gestione. Brexit docet. E il generale francese Charles De Gaulle, lungimirante, cercò spesso di mettersi di traverso.

In realtà nella Comunità europea tornavano a prevalere gli interessi individuali e si concretavano, a volte di nascosto a volte meno, gli egoismi e le mal celate superiorità dei rispettivi Paesi. La Francia, per esempio, a denti stretti difendeva il proprio “primato atomico”, specie nei confronti della Germania, disseminando di propri agenti le sedi Euratom istituite con i Trattati di Roma.

Nel corso dei decenni l’arruolamento europeo o l’allargamento a Paesi ben distanti dalla caratura specifica, ideale e economica dei Paesi fondatori, la riunificazione delle due Germanie, l’implosione del “sistema Urss” e la conseguente fine della “guerra fredda” hanno portato una serie di novità sconcertanti, piene di complicazioni. Sicché l’introduzione della moneta euro (ma l’assenza assoluta di una politica estera comune, per esempio) in un territorio ormai dominato dalla Germania ridivenuta colosso economico e industriale del continente, e in posizione dominante, non fu visto e interpretato, e sarebbe stato il caso, come un nuovo punto di partenza, ma un traguardo da sfruttare all’osso. L’Italia, indebitata fino al collo anche per sue colpe, è il Paese che ne ha pagato maggiormente lo scotto.

È possibile che con un atto di resipiscenza l’Unione – o almeno una buona parte di essa – torni a rivedere alcune sue posizioni attuali di egoismo connaturato. I tragici mesi del contagio da corona virus, che niente hanno avuto a che vedere con le condizioni economiche dei singoli Paesi in cerca di aiuto, attuali e pregresse, saranno le prove provate del mutato atteggiamento.

L’occasione offre una duplice soluzione: o guarire insieme e riprendere, insieme, un percorso comune avviato più di sessant’anni fa con tanto entusiasmo e speranze o avviarsi al declino, implodere come accade nell’Unione sovietica, e infine precipitare all’indietro di poco meno di secolo, e forse sparire.

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