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Chiesa

LE RAGIONI DELLE NOMINE DI SCOLA

GIAMPAOLO COTTINI - 13/04/2012

Le recenti nomine del Vicario Generale e dei Vicari di Zona annunciate il Giovedì santo sono il primo importante atto di governo del nostro nuovo Arcivescovo per la guida organica del popolo ambrosiano. Se ogni cambiamento implica l’accettazione del nuovo come un bene anche quando distoglie da abitudini consolidate, occorre anche cercare di capire la ratio di tali cambiamenti, che in questo caso indicano certo la volontà del Cardinal Scola di inserirsi nel solco dei suoi predecessori, anche se imprimono elementi di novità funzionali al progetto pastorale e all’immagine di Chiesa che instancabilmente Scola va proponendo in questi primi mesi del suo episcopato milanese.

Anzitutto la scelta di monsignor Delpini come Vicario generale sembra rispondere al desiderio di avere come primo collaboratore un uomo che conosce molto bene intere generazioni di preti per essere stato Rettore Maggiore dei seminari diocesani, avendo al proprio fianco una persona di grande spiritualità e non un semplice esecutore di scelte operative. Il vicario è, infatti, il primo a doversi immedesimare nell’animo e nel cuore dell’Arcivescovo, per poter partecipare con umile spirito di collaborazione al suo compito di aiuto senza sostituirsi alla responsabilità che spetta ultimamente solo al Cardinale.

Interessante è anche la scelta dei Vicari di Zona che risponde, ci pare, all’intento di non frazionare la Diocesi in tante unità pastorali indipendenti, come si se si trattasse quasi di diocesi suburbicarie: già ai tempi del Cardinal Colombo, di fronte all’esigenza di rendere più governabile una diocesi di proporzioni gigantesche, comprendente tra l’altro più capoluoghi di provincia, si pensò di scartare il modello parigino delle diocesi suburbicarie o suffraganee autonome anche se dipendenti dal metropolita di Parigi, optando per la suddivisione in zone pastorali guidate da un vicario non necessariamente insignito della dignità episcopale.

Il Cardinal Scola, con l’unica eccezione di Monsignor Carlo Redaelli, riprende questa idea ponendo dei parroci o dei prevosti (comunque dei sacerdoti già impegnati nella pastorale parrocchiale diretta) a rappresentarlo come cinghia di trasmissione tra il vescovo e il territorio, rendendo così più evidente l’unicità della responsabilità episcopale (evitando tra l’altro l’eccessiva proliferazione di vescovi ausiliari tipica della recente storia milanese), che è resa operativa dalla presenza di vicari con esperienza precedente più vicina alla pastorale ordinaria delle parrocchie. Senza voler naturalmente nulla togliere a chi ha svolto sin qui egregiamente il suo compito, si tratta di una scelta che dovrebbe evitare la tentazione di sovrapporre il dialogo con il clero a qualunque forma di burocrazia ecclesiastica di pura disposizione degli spostamenti di sacerdoti o di riorganizzazione territoriale delle comunità locali, quasi sostituendo il compito della paternità dell’Arcivescovo nei confronti dei suoi sacerdoti anche nell’individuazione della loro migliore collocazione.

Sono, ovviamente dei criteri interpretativi che potrebbero non essere esaurienti per spiegare il turn over dei principali collaboratori del Vescovo, ma che invitano a guardare con attenzione all’opera del Cardinal Scola in questi primi mesi di intensissima attività, che mi pare segnata da una limpida e profondissima predicazione che, non staccandosi mai dal contenuto della liturgia, non si limita a fare solo una lectio divina della Parola ma attualizza sempre il Vangelo coinvolgendo gli interessi umani e la presenza di ognuno negli ambiti di vita fondamentali (lavoro, famiglia, impegno sociale e caritativo), con un linguaggio semplice e penetrante (caratterizzato certo da una dovizia di citazioni e riferimenti culturali e teologici solidissimi) che rivela la paternità pastorale dell’Arcivescovo.

Quindi non solo un necessario avvicendamento di persone, ma un altro segnale di un modo di essere padre del suo popolo che investe soprattutto la fedeltà del Cardinal Scola a quanto Benedetto XVI va insegnando quando invita soprattutto il clero a non predicare proprie opinioni o idee cristiane, ma ad annunciare il fatto di Cristo nella sua integralità. A ciò rispondono anche queste nuove nomine che non vanno prese come un organigramma organizzativo/aziendale, ma come espressione di uno stile pastorale che avvicini anche la necessaria suddivisione territoriale alla natura propria della comunione ecclesiale tra il Pastore ed il suo popolo

Grazie allora a chi ha lavorato sin qui, in particolare per Varese a Monsignor Luigi Stucchi, e buon lavoro a chi inizia il suo nuovo mandato. Ma soprattutto un’affettuosa preghiera ricca di ringraziamento al nostro vescovo, di cui apprezziamo l’intensità di annuncio e della cui paternità siamo profondamente grati.

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