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Quella volta che

STORIE DI DIRETTORI

MAURO DELLA PORTA RAFFO E MASSIMO LODI - 29/05/2020

calabreseferrara-Caro Mauro, quella volta che…

“Caro Massimo, quella volta che scrissi al Messaggero e s’iniziò col direttore Pietro Calabrese un rapporto destinato a proseguire nel tempo. Sarebbe diventato il primo dei miei numerosi direttori”.

-Epoca e contenuto del testo…

“Epoca: seconda metà degli anni Novanta. Contenuto: il freddo delle pecore”.

-Contenuto singolare…

“Non per chi sa qualcosa degli svizzeri”.

-Che cosa?

“Eravamo, quando uscì l’articolo, nella primavera avanzata. Giornata piovose, clima umido, termometro in discesa. Spiegai che gli svizzeri lo chiamavano il periodo del freddo delle pecore. Perché in maggio le pecore vengono tosate e riportate ai pascoli alti. Se il clima cambia e tornano cenni d’inverno, i poveri animali senza più il vello patiscono il gelo. Di qui la frase che s’adopera per spiegare le rivincite primaverili dei mesi precedenti, segnati dal rigore”.

-Testo pubblicato…

“E collaborazione avviata con Calabrese. Giornalista di gran valore, persona squisita. Mi portò con sé nelle testate che successivamente diresse. A Capital, alla Gazzetta dello Sport, a Panorama. Mi arruolò perfino quando ebbe un alto incarico dirigenziale alla Rai. Feci con Onofrio Pirrotta la trasmissione ‘È la stampa, bellezza’. Ci divertimmo molto a curiosare in quel mondo, così pieno di contraddizioni ed errori”.

-Restiamo alla genìa dei direttori. Il secondo che ti viene in mente?

“Senz’altro Giuliano Ferrara, di cui abbiamo spesso detto. Gli debbo l’avvio della mia carriera nei giornali nazionali, quando mi affidò sul Foglio la rubrica Pignolerie. Tredici anni, mica uno. Poi sopravvenne la stanchezza”.

-Motivo?

“Lo raccontai a Gianni Barbacetto che nel 2016 mi dedicò sul Fatto Quotidiano un’intervista di una pagina in occasione del ventennale delle Pignolerie. Due i motivi. Primo: avevo preso atto che, nonostante le infinite sottolineature di sbagli e asinerie, la situazione generale dei giornali non mutava. Secondo: le uscite andavano rarefacendosi, dopo aver perduto la settimanalità. Sopravvenne una sorta di naturale logorio”.

-Come finì la storia?

“Con una mail inviata a Ferrara. Scelsi un timbro di modestia: ciò che rimarrà nella storia del Foglio, gli scrissi, sarà solo la mia rubrica. Ciao”.

-E lui?

“Ciao. Ma con un’aggiunta, di cui diede pubblicamente conto di lì a poco. Affermò ch’ero stato io a dare una cifra al Foglio. A caratterizzarne l’anima, diciamo così, editoriale-culturale. D’altra parte…”

-D’altra parte?

“Anche Giampaolo Pansa, in un suo libro, dichiarò che avevo rappresentato l’unica novità giornalistica dell’ultimo mezzo secolo. E Vittorio Sgarbi su Panorama mi gratificò di questo giudizio: Mauro della Porta Raffo è d’una sconfinata cultura”.

-Imbarazzandoti?

“E perché mai? Opinioni. Solo opinioni”.

-Realistiche, naturalmente…

“Naturalmente. Se le saranno pur fatte in base a qualche fatto”.

-A proposito del fatto. Dico: il Fatto Quotidiano. Un altro direttore amico tuo è Antonio Padellaro, anche se direttore non lo è più, essendo diventato presidente del giornale che ha fondato…

“Amico amico. Non andiamo d’accordo su niente e ci vogliamo bene su tutto. Mi ha scritto di recente: il genio della lampada mi dice che ho vinto tre desideri, per un giorno intero potrò essere ciò che voglio. Bene, rispondo, fammi essere un tennista fenomenale come Roger Federer. Lui mi accontenta e trascorro il tempo a sfidare e a incenerire tutte le mezze calzette con cui ho sempre perso. Arriva la sera e ho un appuntamento con una signora affascinante che mi resiste. Chiedo al genio: dammi la voce e il tocco al piano di Frank Sinatra. Detto fatto e al termine di una splendida esecuzione di ‘Strangers in the night’, lei è finalmente mia. Mancano pochi minuti alla scadenza del prodigio e io mi gioco la carta finale: genio, trasferisci nella mia mente tutta la sapienza di Mauro della Porta Raffo. Ok fa lui, ma che te ne fai visto che per te ormai è finita? Io penso: povero scemo vuoi che MdPR che tutto sa, non conosca il segreto di come si alimenta la lampada degli eterni desideri, e di come si mettano nel sacco i presunti geni?”.

-Naturalmente lo sai…

“I segreti si custodiscono. Fino a quando non si decide di svelarli”.

-Non è il momento…

“Non lo è”.

-È il momento di chiudere la rassegna dei direttori…

“Devo di nuovo citare Mario Cervi. Lo straordinario Cervi. Il giornalista dei giornalisti: preparato, cortese, generoso. Del resto, se Montanelli l’aveva scelto come sue partner privilegiato… Con Cervi alla guida del Giornale ho scritto quattrocento articoli, gran parte nella rubrica ‘Sale, tabacchi e…’ il cui titolo avevo mutuato da quella tenuta a lungo da Piero Chiara sul Corriere del Ticino. Mi lasciò sempre mano libera, come del resto i direttori più sopra citati. Una condizione che, quando viene meno, mi induce a lasciare un giornale. È accaduto”.

-L’ultimo esempio?

“Alla Verità, il giornale di Belpietro. Figuro tra i fondatori. Pronti via, mandai un articolo. Mi risposero che ne avrebbero discusso nel comitato di direzione o qualcosa del genere e poi mi avrebbero dato risposta, lunghezza da rispettare eccetera. Finì lì. Buona fortuna, gli dissi”.

-Prendere o lasciare, decide MdPR. È la fase uno del tuo rapporto coi giornali…

“La fase zero. La prefase. Altrimenti mi prende l’afasia. E mi taccio”.

-Non scrivi…

“Scrivo dentro di me. Quello sempre”.

-Scrivi come parli?

“Parlo come scrivo”.

-E non un rigo appena…

“L’opposto. Assolutamente l’opposto”.

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