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Quella volta che

NOVEMILA LIBRI

MAURO DELLA PORTA RAFFO E MASSIMO LODI - 17/07/2020

salgari-Caro Mauro, quella volta che…

“Caro Massimo, quella volta che scoprii la lettura…”

-Prima elementare…

“Epoca d’un tot precedente. E che tot. Avevo l’insegnante in casa, mia madre”.

-Dunque, età di partenza?

“Tre anni e mezzo. Ma un segnale di passione per il genere letterario era venuto con largo anticipo. Alla vigilia di Natale del ’44 -avevo otto mesi di vita- verseggiai la seguente filastrocca tra lo stupore dei presenti: ‘I due orsetti, appena desti/ l’un dell’altro più ghiottone/ si divoran lesti lesti/ la lor prima colazione’. Fu l’esordio orale. Quello scritto, dico di lettura dei testi, avvenne sui romanzi di Emilio Salgari. Non me ne sarebbe sfuggito alcuno: 108 in tutto”.

-Salgari e poi?

“Giulio Verne. Mi colpì ‘Robur il conquistatore’. Nella storia svettava un aeroplano grande al modo d’una nave. Da rimanere col naso all’insù, se la testa non fosse stata chinata sulla pagina. Idem entusiasmo per le avventure di Sandokan e Yanez nella Malesia di Salgari. A questo proposito…”

-Prego…

“Salgari mica li scrisse lui i 108. Al massimo una settantina. Gli altri furono opera dei figli Nadir e Omar, poi d’un certo Motta, infine di qualcuno che si prese la briga d’estendere e completare appunti del maestro. Sempre che lo fossero davvero”.

-Così bravi, Salgari e Verne, che qualche loro opera divenne un film…

“E di successo popolare. Philippe Leroy e Kabir Bedi determinanti per favorirlo. Consiglio a ogni genitore e nonno di regalare a figli e nipoti i romanzi di Salgari e Verne. Come ho fatto io”.

-Andiamo oltre, tra fanciullezza e adolescenza. Libri di formazione?

“Due. ‘La giumenta verde’ di Marcel Aymé e ‘Smoke Bellew’ di Jack London. Nel primo protagonista un contadino, che della terra sa tutto. Cioè delle nostre radici. Nella seconda una donna, che fa dello straordinario l’ordinario di vita quotidiana. Cioè la pratica della semplicità. Non sono due libri da top delle classifiche, e invece meriterebbero d’esserlo”.

-Quanti nei hai letti/divorati in tre lustri?

“Ottomila, novemila. Più novemila che ottomila”.

-Archiviandoli in un rintracciabile deposito del sapere…

“Rintracciabilissimo. La mia memoria è una biblioteca aperta”.

-Fin quando è durato l’amore per il romanzo?

“Il romanzo è durato fin che c’è stato Hemingway. Morto lui, basta. Ebbe un merito eccezionale: l’introduzione del dialogo nell’opera di narrativa. Intuizione formidabile, finalizzata a una resa quasi cinematografica dello scrivere”.

-Lettura per immagini?

“Lo è sempre. Ma un conto sono le riprese fisse, un altro le riprese in movimento. Possibili grazie, appunto, al dialogo”.

-E del racconto, cosa raccontiamo?

“Misura ideale, secondo molti. Il maestro assoluto è stato Piero Chiara. Ne ha scritti circa 1800. Storie di vita, affreschi di realtà, indagini psicologiche”.

-Dava del tu al lettore…

“Sì. Che è il segreto dei grandi scrittori”.

-La confidenzialità…

“Farti leggere quel che tu aspetti di leggere perché l’hai dentro di te”.

-Operazione-transfert…

“Identificazione sentimentale. Scendi da una riga all’altra e rifletti: ma guarda qui, ecco quello che ho sempre pensato e ora trovo scritto”.

-Cioè: se in un libro leggi te stesso, concludi che l’autore è un fuoriclasse…

“Concludo così”.

-Quindi scrivere non è solo un’arte…

“È molto di più. È un prender parte. All’umanità”

-Viaggio tra i generi: romanzi-racconti a parte, che altro da privilegiare?

“La giallistica di sicuro. Dashiell Hammett e Raymond Chandler in cima alla graduatoria. Il giallo è cronaca, fantasy, perfino poesia. Nel senso di fascino del mistero. Che scopri piano piano, durante il procedere dell’avventura. Emozionante”.

-Accostiamo i giornalisti agli scrittori?

“Per carità. Altro mondo, purtroppo con gravi difetti. L’imprecisione tenace, innanzitutto. La superficialità diffusa. La boria debordante. Il servilismo politico talvolta”.

-Eppure il giornalismo è l’universo dove la tua stella ha brillato e brilla…

“Ma senza che io sia un giornalista. Se mi chiamano così, mi offendo”.

-Anche se ti chiamano professore?

“Peggio ancora. Idem se mi qualificano esperto. L’esperto è chi, ritenendosi tale, non studia più. Dunque ignora. Guai agli esperti, che smettono di ragionare”

-Come ti si deve chiamare?

“Saggista. Scrittore”.

-Meglio: Mauro della Porta Raffo”

“Spiegati…”

-Una categoria a sé, aggiuntiva delle altre…

“Se parliamo dell’originalità di me medesimo, ebbene sì”.

-Parliamo di questo. Il dellaportismo-raffismo è un genere…

“Per ora senza imitatori”.

-Impresa troppo difficile?

“Assolutamente impossibile. È un marchio che non teme contraffazioni”.

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