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Politica

BOBO CON LA SCOPA

MANIGLIO BOTTI - 20/04/2012

Punti poco chiari, in questa crisi del movimento leghista, ce ne sono. Si fa fatica, diceva una volta il Capo, a trovare la quadra. Forse ha ragione la Rosi – Rosi Mauro – estromessa dal partito per un atto di disobbedienza nei confronti del Capo, il quale avrebbe fatto un passo indietro o un passo di lato, ma in ogni caso s’è fatto da parte, quando in un’intervista sul Corriere della Sera sospetta che Bobo Maroni stia lavorando per impadronirsi della guida del Carroccio.

Ma come?

Andiamo con ordine: la pulizia tanto evocata da Maroni. Bastava guardarlo in faccia, il Maroni, alle assise di Bergamo, e vederlo lì con la scopa in mano, per capire che dentro di sé pensava: “Ma io qui oggi che cosa ci faccio?”.

Egli, com’è noto, è componente del triumvirato che dovrà portare presto la Lega al rinnovamento generale. Ne è magna pars, a quanto risulta, perché gli altri due che lo affiancano – Roberto Calderoli e Manuela Dal Lago – sono in posizione più debole e defilata: Calderoli, innocentissimo fino a prova contraria (come la Rosi e come il Renzino-Trota, del resto), non è lo stesso “Cald” di cui si parlerebbe nelle intercettazioni telefoniche che hanno provocato lo sconquasso?

E la Dal Lago, che pochi si prendono la briga di intervistare per conoscere la sua opinione, forse non è stata messa lì solo per tacitare i veneti ruspanti?

Ancora: quel Francesco Belsito, il tesoriere della Lega che investiva in diamanti e lingotti (poi restituiti), anzi l’ex-tesoriere, il secondo personaggio mandato a casa con la Rosi Mauro, non era un sottosegretario di stato nel ministero della Semplificazione, retto, fino a poco tempo fa, sempre da Calderoli?

La pulizia alla fin fine è stata solo parziale, rapida ma di superficie. Il Trota è stato risparmiato (“madrina” Rizzi a parte); della mamma (e moglie del Capo), la Manuela Marrone, presunta reggitrice dell’altrettanto presunto “cerchio magico”, si tace. E poi, sono storie dell’altro ieri: il gran Capo, allora, sosteneva che l’investimento di soldi in Tanzania (soldi italiani consegnati generosamente alla Lega) era stato un “investimento accorto”; quando il Capo-Babbo portava il figliolo Renzino dietro di sé, pronto a consegnargli la staffetta – non è un segreto, perché tutti lo vedevano e ne vantavano per mera piaggeria le qualità intellettuali in divenire – anche il triumvirato che oggi si agita taceva, e ben si guardava dal farsi avanti con scope e aspirapolvere.

Le domande si affollano, ed ecco perché è molto difficile trovare la quadra. C’è una foto – scattata in quel di Bergamo – che ritrae Bobo Maroni mentre dà un bacio a Umberto Bossi: l’immagine è silente ma i volti, come ha fatto capire la Rosi, danno indicazioni. Bobo pare che dica: “È lui, quello che bacerò, prendetelo!” L’altro è preoccupato: “Qui si mette male”. Sarà una sensazione, ma a Bergamo ciò che ha fatto maledettamente soffrire il Capo è stato il sentire per la prima volta la Curva Sud che urlava “Maroni! Maroni!” molto più forte di “Bossi! Bossi”. Anzi, quando per caso è stato pronunciato il suo nome (che è lo stesso del figlio, dei figli), si sono alzati i buuu! e i fischi. Ormai le cose stanno andando avanti così e due giorni prima, quand’erano saltate fuori le notizie grame, Bossi assediato dai giornalisti che gli ponevano alcune di queste domande aveva anche provato a dire agli uomini della scorta: “Picchiateli!”. Dovrebbero fare una strage di giornalisti, adesso.

La storia è in continua evoluzione, anche se talvolta vichianamente si ripete. Per questo c’è un ultimo aspetto che stride nei fatti e nei ragionamenti. Bobo Maroni, parlando della Lega, messa alle corde (un poco messa alla corde, si vedrà nel voto, Beppe Grillo permettendo), ha detto che deve tornare agli inizi, che deve tornare “la potentissima”. Ricominciare daccapo, insomma, in quest’Italia divenuta – anche per colpe dirette – un’immensa foresta di Sherwood pervasa dagli esosi cavalieri dello sceriffo di Nottingham.

Il programma, annunciato da uno che è stato per due volte ministro dell’Interno negli ultimi diciotto anni, è quanto meno strano. Orbene, parliamo solo di Varese: la Lega vinse le elezioni ed espresse un suo sindaco – Raimondo Fassa – il 13 dicembre 1992, quasi vent’anni fa. Se tanto ci dà tanto, tra due decenni saremo qui a discutere dei figli del Trota…

È come se Mussolini, il 25 luglio del 1943, dopo più o meno vent’anni di idolatrato comando, avesse detto: “Torniamo indietro, torniamo al ’22 e alla marcia su Roma”. E in realtà lo fece, almeno qui nel Nord. Ma fu una catastrofe.

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