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Attualità

ETIOPIA- TIGRAY

GIANLUIGI BERTA e ROSALBA FERRERO - 18/12/2020

etiopiaIl violento scontro armato in Etiopia fra i Tigrini e il governo centrale etiope è rimasto in secondo. piano sino a che, durante l’Angelus domenicale dell’8 novembre, Papa Francesco auspicò la cessazione dei combattimenti e una ‘ricomposizione pacifica delle discordie.’ Poi è calato il silenzio anche se il ‘Santo Padre – come comunica il direttore della Sala Stampa Vaticana – con apprensione segue le notizie che giungono dall’Etiopia’, forse da solo insieme ai pochi che hanno a cuore la situazione.

Il conflitto ha avuto come causa scatenante il rinvio delle elezioni generali imposto dal propagarsi della Covid-19. Esso è stato interpretato dai Tigrini come una scusa del governo federale per non concedere l’autonomia al Tigray.

In realtà, il conflitto non riguarda l’autonomia del Tigrai, ma il controllo del Paese.

Il suo carattere latente è lo scontro violento tra etnie. In Etiopia sono presenti circa 80 gruppi etnici, alcuni dei quali poco numerosi, soprattutto quelli che vivono a sud. I gruppi principali, in ordine di numerosità, sono: Somali, Amhara, Oromo e Tigrini.

Con 50mila km2 di estensione, il Tigray copre il 4,5% del territorio nazionale, sul quale abitano 4 milioni e mezzo di persone, pari al 4,3% della popolazione.

Fino all’arrivo dell’attuale premier Abiy Ahmed, di etnia Oromo, eletto nel 2018, premio Nobel per la pace nel 2019, il governo era in mano ai rappresentanti del Tigray.

Attraverso il conflitto, il gruppo tigrino intende riconquistare la posizione dominante nell’economia detenuta fino al 2018 a partire dalla caduta nel 1991 del regime di Mengistu Haile Mariam, dittatore dell’Etiopia dal 1977.

Prima dell’ascesa al potere di Abiy Ahmed, i Tigrini controllavano l’esercito: gli alti quadri militari e i burocrati provenivano dal TPLF che, dopo aver sciolte le vecchie forze armate, aveva trasformato le proprie milizie in un esercito nazionale col quale dominare tutta la Repubblica Federale di Etiopia, controllando l’economia e le risorse naturali.

Il giro d’affari è enorme. L’Etiopia ha ricevuto in media 3,5 miliardi di dollari all’anno in aiuti esteri, una cifra imponente se si considera che, secondo il Fondo monetario internazionale, il PIL pro capite nel 2017 era di 853 dollari.

Arricchitosi nei quasi trent’anni di predominio del TPLF, il Tigray è una regione progredita rispetto alla media del paese.

Il 4 novembre Abiy Ahmed ha deciso di inviare truppe governative nella regione ribelle sostenendo che il TPLF (Tigray Popular Liberation Front) avesse attaccato una base dell’esercito federale.

A più di un mese dall’inizio del conflitto militare l’esercito ha accerchiato il Tigray, utilizzando per la manovra il territorio eritreo, e ha espugnato il capoluogo Makallé, commettendo violenze e forse crimini di guerra: quasi un milione di persone ha abbandonato le proprie case e almeno 50.000 profughi sono fuggiti in Sudan e si trovano in condizioni sanitarie assai precarie e aggravate dalla pandemia, come riporta Africanews.

Le informazioni sullo sviluppo delle operazioni militari in Tigray sono molto scarse e frammentarie: i giornalisti stranieri sono stati tenuti fuori dall’area e le telecomunicazioni completamente interrotte. Per certo si sa solo che gli inviati dell’ONU, per quanto formalmente abilitati ad entrare nell’area per scopi umanitari di fatto godono di accessi molto limitati. Al punto che il 6 dicembre una squadra delle Nazioni Unite che cercava di raggiungere un campo di rifugiati presso la città di Shiré è stata bersaglio di una sparatoria da parte dell’esercito governativo.

Grande la preoccupazione degli operatori umanitari Onu e Croce Rossa perché i rifornimenti per i soccorsi di emergenza nel Tigray stanno finendo e perché nei campi profughi migliaia i bambini, molti dei quali sono senza genitori o parenti, sono a rischio. Incessante e sinora inascoltato l’appello delle Chiese perché la guerra finisca al più presto. ‘Quando due elefanti lottano, chi soffre di più è l’erba che pestano coi piedi’, come ha detto in una intervista il vescovo di Emdibir, monsignor Musié Ghebreghiorghis.

Esiste anche un altro concreto pericolo politico-militare, data la presenza dello Stato Islamico nel Corno d’Africa, contro il quale l’Etiopia ha svolto la preziosa funzione di ‘argine’ fino allo scatenarsi del conflitto.

Contrariamente a quanto vanta il governo etiope, il TPLF non è sconfitto e si prospetta un lungo strascico di guerriglia, che aggraverà la crisi umanitaria del Corno d’Africa e che rischia di compromettere seriamente sia lo sviluppo dell’Etiopia, sia gli interessi economici dei numerosi italiani residenti e del nostro paese, partner economico importante.

Mentre la Cina è al primo posto nell’import-export ed è impegnata nella costruzione di infrastrutture, l’Italia è il primo fornitore dell’Etiopia ed è il terzo cliente a livello europeo, mentre in assoluto i rapporti con l’Italia sono al quinto posto per import e nono per export. La metà delle esportazioni italiane in Etiopia è costituita da macchine per la produzione industriale, prodotti siderurgici e macchine tessili, autoveicoli e componentistica; le importazioni riguardano il settore agricolo e la produzione conciaria e tessile.

L’ammontare dell’interscambio commerciale italo-etiope è cresciuto costantemente negli ultimi anni, arrivando a 310 milioni di euro a fine 2019, secondo i dati della Farnesina.

Il PIL è passato dai 19,4 miliardi di dollari nel 2007 agli 80,8 miliardi di dollari nel 2017 con un incremento medio annuo del 15%. La disponibilità di fonti idroelettriche, i collegamenti aerei efficienti, l’apertura agli investitori internazionali, il basso costo del lavoro hanno reso possibile il raggiungimento di questi obiettivi.

In Etiopia è presente una importante comunità italiana, ben integrata, apprezzata e vivace dal punto di vista imprenditoriale, soprattutto nell’area della capitale e nella regione del Tigray. L’attuale situazione di belligeranza rischia di mettere a repentaglio gli interessi dei nostri connazionali insieme agli anni di investimenti e speranze per l’economia etiope, sfociando in una crisi umanitaria.

Speriamo che l’auspicio papale della cessazione dei combattimenti e di una ‘ricomposizione pacifica delle discordie’ si trasformi in realtà.

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