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Universitas

L’ARTE DI GIUDICARE RETTAMENTE

SERGIO BALBI - 28/04/2012

Ferdinand de Saussure nel suo “Corso di linguistica generale” (1922) scriveva: “Ciò che determina la pronunzia di una parola non è l’ortografia, ma la sua storia. La sola cosa da considerare, ciò che in realtà più si dimentica, è l’ascendenza della parola, la sua etimologia”.

Sono convinto che questo sia un valore fondante la cultura in generale: comprendere il vero significato delle parole che usiamo, conoscendo la storia che le ha costituite, è un valore in modo autentico, che ci permette di dare senso al nostro discorso, in ogni campo ed in epoche come la nostra in particolare nella quale la chiacchiera, l’opinione a qualunque costo, frettolosa, sostituisce la necessità di comunicare bene. Ecco perché presento questa rubrica, che mi vede coinvolto in quanto persona che vive all’interno di istituzioni universitarie dal 1991 e in qualità di ricercatore presso l’Università dell’Insubria dal 2008, partendo dall’analisi etimologica del suo titolo, “Universitas”.

La storia della parola università comincia nel medioevo nel senso che il latino universitate (m), propriamente ‘la totalità delle cose che costituisce un tutto’, assume nell’organizzazione sociale di ‘corporazione, ente associativo’, come, in particolare in “universitas scholarium” usato a Bologna verso la fine del secolo XII, da cui poi l’accezione più ristretta di ‘corporazione di studenti’ e, infine, quella di ‘università’ (Dal “Dizionario etimologico della lingua italiana”, Cortellazzo-Zolli, Zanichelli Editore). Oggi l’idea di corporazione ha assunto, rispetto all’epoca medioevale e dei comuni, accenti che possono risultare anche poco graditi, se non sospetti, nella disputa mediatica e quindi voglio proseguire nell’esame della parola università con un passo ulteriore verso la parola che principalmente la anima, ossia “universo”: sempre chiedendo soccorso al Cortellazzo-Zolli “universo è una voce dotta, dal latino universu (m) ‘tutto intero’, letteralmente ‘volto (versu (m), dal verbo vertere ‘volgere’) tutto in una (uni-) direzione”.

Da qui mi piace partire pensando che il compito dell’Università non sia tanto quello di “insegnare un mestiere” ma sia in primo luogo quello di fornire gli strumenti umani e le conoscenze che possano dare allo studente una propria visione del mondo, un proprio criterio, nella sua accezione più precisa di “facoltà di giudicare rettamente”; da questo fondamento, da questa cultura che vorremmo profonda e radicata nel nostro rapporto con il mondo, discenderebbe sì, come passo naturale, l’imparare un’arte, un mestiere, che, pur in ossequio alla sete di tecnologia e progresso che anima la nostra corsa in avanti nel tempo, porterebbe, nel suo impiego quotidiano, l’impronta umana ed originale di ognuno, consapevole della propria natura di singolo e prezioso essere.

Questa idea, alla quale cercherò di tener fede, vuole animare questa rubrica; non sarò quindi portavoce dello spirito o delle linee di governo che innervano un determinato Ateneo (non ho per questo né l’investitura né il proposito personale per farlo) ma proverò a trasmettere, dal mio piccolo osservatorio, gli elementi, gli spunti di riflessione che, sono convinto, l’istituzione universitaria può portare come prezioso contributo alla vita quotidiana e variegata di tutti i cittadini.

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