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Economia

BUONA BANCA ADDIO

GIANFRANCO FABI - 30/04/2021

creditoC’era una volta una banca popolare creata a Sondrio all’inizio del Novecento dalla volontà cooperativa di un piccolo gruppo di persone di buona volontà all’interno del mondo cattolico. Una banca nata sulla scia di molte altre esperienze che in quegli anni venivano nascendo per rispondere alle esigenze finanziarie di contadini, artigiani, professionisti in un’era di grandi trasformazioni economiche e sociali.

Quale banca si chiamava “Piccolo credito valtellinese” denotando anche nel nome una duplice volontà, da una parte quella di essere una banca vicina, anche come dimensioni, alle famiglie e alle piccole imprese, dall’altra di essere profondamente legata al territorio per creare uno stretto collegamento tra finanza ed economia reale.

Una banca popolare che ha sempre basato il proprio operato sul principio di solidarietà, con un modello che proprio in quegli anni si diffondeva soprattutto tra Lombardia, Veneto e Trentino-Alto Adige. Un modello strettamente collegato al mondo cattolico nel quale la banca si è sviluppata, in ottemperanza al proprio Statuto in cui si diceva: “La Società ha per scopo la raccolta del risparmio e l’esercizio del credito, tanto nei confronti dei propri Soci che dei non Soci, e si ispira ai principi della mutualità; essa si propone altresì di sostenere e promuovere lo sviluppo di tutte le attività produttive con particolare riguardo a quelle minori e alle imprese cooperative e di favorire, in conformità alle intenzioni dei suoi fondatori e alla sua tradizionale ispirazione cristiana, le istituzioni tendenti a migliorare le condizioni morali, intellettuali ed economiche delle classi meno abbienti, anche con attività benefiche”.

Nel corso degli anni, in particolare in quelli a cavallo del Duemila, quella banca è cresciuta espandendosi ben al di là della Valtellina ed acquisendo, e in parte salvando, altri istituti in Lombardia (in particolare il Credito Artigiano, un’altra banca popolare nata dal mondo cattolico), in Sicilia, nelle Marche.

Il Credito Valtellinese ha perso l’aggettivo “piccolo” ma è rimasto fin che ha potuto una banca popolare con un azionariato diffuso (erano migliaia i soci affollavano l’assemblea annuale che esprimevano ognuno un voto indipendentemente dal numero di azioni che possedevano).

Il cammino della banca si è interrotto a metà gennaio del 2015 quando il Governo di Matteo Renzi varava un decreto-legge che obbligava le grandi banche popolari, come il Credito Valtellinese, a trasformarsi in società per azioni. In pratica queste banche dovevano abbandonare il principio mutualistico e cooperativo per diventare un’impresa guidata non solo dal profitto (che comunque non dovrebbe mai mancare), ma anche dalla creazione di valore soprattutto per gli azionisti e dove i soci più ricchi e potenti possono determinare scelte e strategie.

E così è avvenuto. Una delle più grandi banche francesi, il Crédit Agricole, ha lanciato nei mesi scorsi un’offerta pubblica per acquisire la maggioranza, offerta che è terminata nei giorni scorsi con l’acquisizione di oltre il 90% delle azioni. E quindi tra poco le insegne del Credito Valtellinese, che ha alcune filiali anche a Varese e provincia, verranno ammainate e la banca verrà assorbita nel grande colosso francese che aggiungerà un anello a una catena che comprende le Casse di risparmio di Parma, di Rimini, di Cesena, di San Miniato e la Banca Friuladria. Tutte banche che hanno perso la loro identità diventando delle semplici filiali con un’autonomia gestionale tutta da dimostrare.

Risultato: la perdita di una tradizione di cooperazione e partecipazione. Accentuando ancora di più la separazione tra finanza ed economia. I frutti amari della maldestra riforma del 2015 sono sempre più evidenti. Con un sistema bancario controllato ormai dai grandi istituti in cui si accentua sempre di più la presenza dei capitali esteri.

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