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L'intervista

SUPER OTTO

FELICE MAGNANI - 14/05/2021

Bruno Franceschetti, 1969

Bruno Franceschetti, 1969

Quella con Bruno Franceschetti è un’amicizia vera e profonda, che si lega al Convitto De Filippi di Varese, dove entrambi abbiamo vissuto con ruoli e modalità diversi alcuni momenti della nostra vita, con un “Amico” comune, quel monsignor Tarcisio Pigionatti che stimava moltissimo Bruno e i suoi atleti e che era sempre pronto a sdrammatizzare i momenti difficili di una squadra in ritiro o quelli di chi si preparava ad affrontare con impegno e determinazione il proprio percorso umano. Non ci siamo mai persi di vista, abbiamo spesso fatto quattro chiacchiere per amore dello sport, ma anche per raccontarci alcuni episodi legati al Convitto. L’ho chiamato per ricordare la sua esperienza di atleta alle Olimpiadi di Tokyo 64, in una squadra fortissima che si è piazzata al quarto posto, dietro a Giappone, Russia e Germania.

Come vivi il tempo della pandemia?

Con un po’ di rassegnazione. Io e mia moglie eravamo infatti abituati a fare le nostre gite, a muoverci un po’ di qua e un po’ di là, poi è arrivato lui, il Covid, che ci ha costretto a cambiare stile di vita. Da persone consapevoli quali siamo, ci siamo adattati, in attesa che la pandemia faccia il suo corso e liberi il campo. Posso solo affermare che mi sono sempre reso disponibile ogniqualvolta il mondo della Ginnastica, il mio mondo, ha ritenuto di aver bisogno della mia esperienza personale.

Quindi non ti sei annoiato

L’anno scorso sì, quest’anno no e ti spiego il perché. A febbraio mi ha chiamato un tecnico che ha fatto le Olimpiadi del 96 sotto la mia guida, all’epoca della medaglia d’oro di Jury ad Atlanta, un certo Marcello Barbieri, impegnato a Salerno come allenatore. Mi ha parlato di un bel gruppo, bloccato purtroppo a causa della pandemia. Mi ha parlato di un giovane molto promettente che ha avuto una vita sportiva piuttosto movimentata, arrivando a cambiare una decina di allenatori. Mi ha fatto capire che si trattava di un atleta di talento, con grandi risorse, ma sfiduciato, perché il continuo cambio di allenatori, con stili, sistemi e caratteri diversi, lo aveva disorientato. Marcello chiede la mia collaborazione. Mi conferma che il 22 e il 24 aprile si sarebbero tenuti i Campionati europei. Avevo già incontrato il giovane talentuoso di cui mi aveva ampiamente parlato Barbieri, ma in modo del tutto informale molto tempo prima. Ho imparato, successivamente, a conoscerlo più a fondo attraversi i filmati che, in seguito, mi avrebbe inviato. Era dotato di un buon potenziale tecnico, ma con una capacità esecutiva di grande sofferenza. Abbiamo così sviluppato un programma di lavoro che inizialmente veniva accettato con scetticismo, ma che in seguito ha dato i suoi frutti. Morale. Arriva il giorno della gara e si qualifica per la finale, una finale con i fiocchi, per la presenza del Campione del mondo e di altri ginnasti con alle spalle ottimi risultati. Nella finale agli anelli fa un esercizio eccezionale e vince il bronzo, un risultato davvero eccezionale se si tiene conto che si è presentato come emerito sconosciuto in quel contesto, anche se a detta di qualcuno avrebbe meritato l’argento. Ero alle stelle. Pur da casa, ancora una volta la mia esperienza aveva dato i suoi frutti. Questa collaborazione ha occupato buona parte del mio tempo, a dimostrazione che si può essere attivi anche quando il mondo esterno si mette di traverso. Ho anche collaborato con un’Associazione sportiva vicentina, sempre legata alla Ginnastica. Purtroppo però, a causa del Covid, l’attività è stata temporaneamente chiusa. Nella fase iniziale, quando sembrava che ci fossero spiragli di apertura, abbiamo avviato un interessante lavoro sui singoli atleti, con buoni risultati. C’è un certo Giovanni Venturini, pilota della formula offshore, della Lamborghini, il quale afferma che si sente da “dio” da quando ha iniziato a venire in palestra da noi. Come puoi capire, per tutte queste ragioni non mi sono mai sentito annoiato, quindi mi ritengo soddisfatto per come sono riuscito a occupare il tempo in questo periodo incredibilmente difficile.

 

 

Bruno, tu hai vissuto ben otto Olimpiadi con ruoli differenti

Sì, ne ho vissute otto: Tokyo, Città del Messico, Los Angeles, Seul, Barcellona, Atlanta, Atene, Pechino. Sono stato atleta olimpico, allenatore, assistente giornalista televisivo, giudice internazionale di Ginnastica artistica, le ho sdoganate un po’ in ogni parte del mondo e ne sono sempre stato affascinato. Ogni volta mi hanno insegnato qualcosa di nuovo, sia sul piano sportivo sia su quello socio-culturale. L’esperienza di una Olimpiade è un incontro ravvicinato con il mondo, non solo nella sua versione agonistica e quindi sportiva, ma soprattutto per tutto quello che sa insegnare. Osservare, chiedere, parlare, capire, approfondire, apre le porte di una conoscenza più vera, più profonda, più attenta e soprattutto crea momenti d’intensa amicizia. Lo sport olimpico, proprio come ai tempi dell’antica Grecia, richiama gli uomini ai grandi valori della pace, della concordia e della solidarietà, li fa sentire più vicini e più uniti.

Tu hai vissuto come atleta le Olimpiadi di Tokyo del 1964, che ricordi hai di quell’esperienza?

Noi atleti sognavamo di poter andare a Tokyo, per scoprire qualcosa di più di quel mondo così lontano e così diverso dal nostro. Conoscevamo la squadra giapponese, avevamo avuto contatti prima delle Olimpiadi, ma un conto è conoscere un gruppo di atleti durante una temporanea sfida agonistica, un conto è fermarsi, vivere e conoscere la realtà in tutta la sua quotidianità. Grazie alla Ginnastica e alle Olimpiadi abbiamo avuto la possibilità di passeggiare come turisti non solo a Tokyo, ma anche in altre città giapponesi. Sono stato molto sorpreso dalla cordialità della gente, una tipo di cordialità non costruita ad effetto, per l’occorrenza, ma tipica di un carattere, di un costume e di una cultura profondamente diversi dai nostri. Ricordo che tutti, giovani, meno giovani e anziani si inchinavano quando ci incontravano per strada, facevano di tutto per dimostrarci la loro ospitalità, volevano parlare, ascoltare, si capiva che c’era qualcosa che partiva da dentro e che andava ben oltre i soliti convenevoli approntati per l’occasione. Mi ha particolarmente colpito la struttura bassa delle case, si trattava di abitazioni senza il secondo piano, eccezion fatta per una piazza del centro, dove si potevano osservare alcuni palazzi. Ci è stato spiegato che le case erano basse per la natura sismica del Giappone, costantemente sotto la minaccia del terremoto. Oltre alla gentilezza delle persone, sono stato sorpreso dalla bellezza dei costumi, dall’eleganza del modo di vestire, dalle illuminazioni delle piazze e delle vie, dall’educazione in generale. Sono ritornato a Tokyo intorno al 2000 e ho trovato un mondo radicalmente cambiato, trasformato nelle sue varianti architettoniche, nella sua modernità abitativa e nel traffico. Ricordo che una volta a Kobe, con Jury, siamo stati ospitati per due notti al decimo piano di un grattacielo di trenta piani e ogni giorno si potevano avvertire almeno una decina di tremolii dovuti alla mobilità sismica del territorio. Era una sensazione incredibile.

Una grande squadra, quella di Tokyo 64?

Davvero una grande squadra, capace di farsi rispettare in tutte le specialità. Era formata dal fortissimo e conosciutissimo Franco Menichelli, che avrebbe vinto la medaglia d’oro olimpica al Corpo libero, l’argento agli anelli e il bronzo alle parallele, poi via via da Giovanni Carminucci, Pasquale Carminucci, Luigi Cimnaghi, Angelo Vicardi, dal sottoscritto e da Vincenzo Siligo, in qualità di riserva. Una squadra molto forte e molto unita, temuta in campo internazionale. Si è trattato di una Olimpiade difficile da affrontare, con una Germania che si presentava in squadra unica (est e ovest). Il quarto posto, ottenuto dietro Giappone, Russia e Germania è stato un grandissimo risultato.

Come arriva la Ginnastica artistica italiana a Tokyo 2021?

Oggi la “squadra” non c’è, avremo solo un paio di ginnasti in grado forse di non sfigurare, Nicola Bartolini e Ludovico Edalli. Ho dei dubbi, però, che possano arrivare sul podio. Sono indubbiamente ottimi ginnasti, ma arrivare sul podio olimpico è molto difficile.

Atlanta e Atene, sono stati due momenti esaltanti per la Ginnastica italiana, con il formidabile Jury Chechi agli anelli

Due momenti assolutamente indimenticabili. L’oro e il bronzo di Jury Chechi e l’oro di Igor Cassina rappresentano un unicum nella storia delle Olimpiadi.

Chechi ha detto: “A Bruno Franceschetti devo tutto”

Gliene sono grato e non può farmi che piacere. Ho lavorato con lui con grande passione e senza sforzo. Devo dire, in tutta onestà, che ho avuto tanti atleti che mi hanno dato delle grosse soddisfazioni e quindi ringrazio tutti, senza di loro non avrei avuto quello che ho avuto. Con Jury siamo stati insieme vent’anni e non so se io ho preso da lui o se lui ha preso da me: professionalmente lui ha preso molto perché ha fatto molto. Con Jury ho agito molte volte usando l’empatia, facendogli credere che quello che lui sceglieva era frutto del suo sacco, mentre invece ero io che lo spingevo ad andare in quella direzione. Cercavo di ricordarmi sempre quello che mi aveva insegnato un mio docente alla Scuola dello sport, il quale affermava: “Guardate che se usate l’imperativo l’atleta vi segue, ma quando è stanco non vi segue più. Fategli credere che sia lui a scegliere, ma portatelo voi dove deve essere portato.

In quella Olimpiade c’era un amico comune, il grande Ito Giani

Ci siamo incontrati a Tokyo e a Città del Messico. Eravamo fortemente legati alla nostra città e ogni volta era una bella ricordanza. Ito è stato un grande atleta, anche un po’ sfortunato. Lo ricordo per la sua signorile affabilità e per quel suo modo elegante di mettere a proprio agio l’interlocutore.

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