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Economia

LAVORO, “PARTITA EVOLUTIVA”

FEDERICO VISCONTI - 21/01/2022

professioniMercato del lavoro a mo’ di Giano Bifronte? Da una parte, i tassi di disoccupazione, cresciuti dal 6% al 10% tra il 2008 e il 2019. Dall’altra, le difficoltà a reperire le competenze richieste: dalle stime quantitative (400.000 richieste aziendali non soddisfatte? 500.000?) all’aneddotica quotidiana su saldatori e manutentori, per fare due esempi e per non parlare delle professioni sanitarie. Ed è così che nel nostro dizionario sono entrate di diritto parole come mismatch, espressiva della mancata corrispondenza tra le competenze di chi cerca lavoro e quelle richieste dalle aziende, e shortage, evocativa della nuda e cruda assenza di candidature minimamente spendibili.

Non oso avventurarmi nella soluzione delle enne equazioni che determinano il mercato del lavoro in Italia, di oggi e di domani. La reazione immediata è da Zibaldone di pensieri, all’insegna di dualismi come rigidità e flessibilità, modelli salariali e sistemi premianti, categorie protette e turn over, skilling e reskilling……anziani e giovani. Complessità astrale! Preferisco muovermi tra le quattro mura domestiche dell’Università, provando a delineare cosa vuol dire “costruire nuove professionalità”.

Qualche lettore ricorderà che ho avuto un grande maestro di vita, un imprenditore varesino che mi ha insegnato le basi della saggezza, anche attraverso immagini colorite. Descrivendomi le reazioni dei collaboratori a qualche sua richiesta un po’ originale, mi diceva: “Sel fa cusè? El va su Google!”. Che ci sia dell’enfasi è indubbio. Ma è pur vero che questo “Andà su Google” è entrato nella nostra quotidianità, pregi e difetti dell’approccio compresi nel pacchetto. Orbene, ogni tanto navigo per farmi suggestionare da indagini sulle professioni del futuro. Navigazione del giorno in cui scrivo, con vista sul 2030: scenografo dei ricordi, ottimizzatore di comunità, semplificatore, specialista delle interfacce umane, progettista di eventi virtuali, …. Leitmotiv delle analisi: “Chi è adesso alle elementari non farà nessuno dei lavori che si fanno oggi!”.

Sarà anche vero, ma continuo a pensare che per costruire le nuove professionalità non basta tratteggiarne i contenuti e lanciare un mantra che scateni i social. Il mercato del lavoro vive e vivrà sempre più di turbolenze, di incertezze, di innovazioni, di contesti sociali e geopolitici in movimento. Con scenari del genere, ritengo che le Università debbano dedicare adeguate risorse al processo, tenendo la questione dei contenuti professionali sullo sfondo. Un Ateneo ha una missione formativa, vien da dire educativa. Il problema non è tanto quello di illustrare la tecnologia dell’ultimo mese o di trasferire l’innovazione dell’ultima settimana (dando ovviamente per scontato di aver rimosso dai programmi i contenuti dei tempi di Carlo Cudega, che poi così scontato non è). Il problema è soprattutto quello di far crescere gli studenti nella capacità di apprendere, di criticare, di collegare più variabili, di lavorare in team, di aprirsi al confronto, di mettere per iscritto delle tesi, auspicabilmente in un buon italiano e in un buon inglese…

Sono queste le fondamenta per giocarsi una sana e soddisfacente “partita evolutiva” in un mercato del lavoro sempre più instabile e distante dalle aspettative di Checco Zalone, quelle sul posto fisso per intenderci. Non è un caso che Derek Bok, Rettore di Harvard, parlando ai propri studenti, abbia affermato: “Noi non siamo capaci di prepararvi per quel lavoro che quasi certamente non esisterà più intorno a voi. Ormai il lavoro, a causa dei cambiamenti strutturali, organizzativi e tecnologici, è soggetto a variazioni rapide e radicali. Noi possiamo solo insegnarvi a diventare capaci di imparare, perché dovrete reimparare continuamente”. Era il 1996. Vale ancora, vale di più.

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