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Editoriale

FORATURE

MASSIMO LODI - 04/02/2022

gommaBossi l’aveva detto: Salvini sta imparando. Ma non era il momento d’apprendere. Bisognava averlo già fatto, mettendo a frutto la lezione. Invece nisba. Il Capitano ha malguidato la nave del centrodestra, e nella gara per scegliere il presidente della Repubblica è passato da favorito a sconfitto. Grande sconfitto. Unica consolazione: Conte, nei Cinquestelle, gli è stato compagno di sventura. Chiamale, se vuoi, soddisfazioni.

Nella Lega circolano malumori forti, aldilà dell’ovvio sostegno dato al segretario dal consiglio federale. La débacle segue quella delle amministrative, l’alleanza dei liberal-sovranisti s’è sfarinata, il futuro da radioso che poteva essere s’annuncia buio, la Federazione repubblicana lanciata dal post-Capitano ha già sbiellato. Se Salvini avesse dato ascolto a Giorgetti, scegliendo Draghi come alternativa a Mattarella, i sodali Berlusconi e Meloni gli sarebbero andati dietro. Il primo nella speranza di guadagnare a Forza Italia un ruolo primario nel nuovo esecutivo di Palazzo Chigi, la seconda nell’aspettativa d’elezioni anticipate, qualora l’intesa per il governo non avesse quagliato. Non solo: Draghi al Colle sarebbe stato il passaporto europeo d’un Salvini -e idem d’una Meloni- eventuale aspirante alla presidenza del Consiglio dopo le elezioni del 2023 (o 2022 che fosse). Quanto al “semipresidenzialismo di fatto” evocato dal ministro dello Sviluppo economico, appariva un vantaggio anziché un danno perché proprio Giorgetti poteva aspirare alla poltrona lasciata libera a Chigi.

Cassata questa strategia, non la si è sostituita con un’altra. Ecco il rimprovero che gran parte della base -comprese figure storiche come Maroni e Leoni- muove a Salvini. Scartato un asso senza calarne un altro, ha mancato di visione strategica, non solo d’intuito tattico. Perciò la domanda vien naturale: meglio riconfermargli la fiducia nonostante la catastrofe quirinalizia o cambiare guida al partito? Il tema è sotto il tavolo, ma presto vi finirà sopra. Cresce la corrente dei leghisti “governatoriali”, dentro il partito e fuori, nel nord produttivo: esprime gradimento a Zaia e Fedriga, guarda con favore all’ancoraggio nel Ppe e a una Csu padana, è disponibile a patti coi centristi e benvengano i fuorusciti berlusconiani, ritiene dannoso inseguire la Meloni sulle barricate.

Ne potrebbe rappresentare la sintesi Giorgetti, ma è conosciuta la sua riluttanza al ruolo di leader. Come federatore delle varie anime tormentate, potrebbe invece funzionare, perfino convincendo Salvini ad abiurare il salvinismo, finendola con le acrobazie tra Orban e Mattarella. Dopo aver rigonfiato anni fa le gomme del Carroccio, s’è messo da tempo a bucarle. Cinque milioni di voti persi dalle ultime europee a oggi, ultimo sondaggio Swg che dà il partito al 17,5%: se non ora, quando correre al riparo?

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