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Apologie Paradossali

UNITÀ RELIGIOSA E CIVILE

COSTANTE PORTATADINO - 11/03/2022

campanilekievSmascherato da poco il bel campanile di s. Vittore torna a calamitare gli sguardi dei varesini, rinnovato nell’abito e risanato nel corpo. Una bella impresa per un vecchietto di quattro secoli, la cui data di nascita è 1617, coevo all’impresa del Sacro Monte, con cui condivide l’ostetrico, Giuseppe Bernascone, il Mancino.

La crescita procedette a fasi alterne, con lunghe interruzioni, per molti decenni dopo la scomparsa del progettista, di cui venne rispettato il progetto, nel mutare dei tempi e degli stili, fino all’inserimento delle campane nella cella attuale nel 1688 e al ben più tardo completamento nel marzo del 1773. Non credo che fu per caso che ciò avvenne negli anni della presenza di Francesco d’Este e della costruzione del Palazzo Estense, anni di sviluppo della città che andava a contornarsi di ville signorili. Nel secolo successivo il Nostro dimostrò la sua solidità resistendo alle cannonate del generale austriaco Urban e assunse sempre più il ruolo di simbolo della città, di cui fu solitario custode fino all’avvento di tempi nuovissimi, con l’innalzamento della città a capoluogo di provincia. Le numerose edificazioni emblematiche ad opera nel nuovo regime, in particolare la costruzione della vicina torre civica e del palazzo della Camera delle corporazioni, oggi Camera di commercio, crearono un contesto che veicolava un messaggio alternativo di potenza e di gloria mondana.

Se l’intero progetto della piazza Monte Grappa e delle strade afferenti, creando un nuovo asse prospettico decentrò e ridimensionò il cuore religioso di Varese, un altro fatto che declassò il nostro campanile fu l’aggregazione al borgo e alle antiche castellanze dei comuni limitrofi, dai quali il campanile di s. Vittore non è visibile, che conservarono l’attaccamento alla loro identità, al loro campanile, ai loro emblemi identitari. Solo in un tempo non breve il sentimento di una cittadinanza unitaria poté crescere fino a coincidere con l’allargamento del perimetro comunale.

Severo e impassibile il Nostro assiste da allora alla lenta crescita delle industrie e dei commerci tra le due guerre, alle piccole miserie di molti e ai grandi eroismi di pochi durante l’occupazione tedesca; lambito dai bombardamenti non crolla la cima, giunta la pace comincia a risvegliare i cittadini al suono delle campane. La città torna a crescere, grazie all’industria, al commercio, al lavoro locale, alle relazioni con Milano e con la Svizzera.

Il campanile invecchia lentamente, ma sorride alla crescita religiosa della città, i cui prevosti, Schiavini, Rossi e Manfredini sono chiamati all’episcopato e due suoi figli, don Pasquale Macchi e don Attilio Nicora, partecipano con grandi responsabilità alla vita della Chiesa Cattolica universale e per un po’ Varese sogna di poter diventare diocesi e il Nostro di poter sciogliere al vento il suono delle sue campane per una così grande festa.

Non per un brusco risveglio, ma lentamente, svaniscono invece i sogni cittadini di grande sviluppo: banche e grandi industrie passano in mani esterne o addirittura straniere o vengono trasferite o scompaiono, in parallelo al decadere delle glorie sportive, che per qualche erano state le principali occasioni di coesione popolare e territoriale.

Come la città anche il Nostro invecchia e diventa bisognoso di cure più frequenti. Gli interventi del 1977 precedono di quasi mezzo secolo quelli più importanti conclusi in questi giorni. Gli architetti e i costruttori ci assicurano però che la sua costituzione è tuttora robusta e sana e che può continuare a svolgere le sue funzioni, insieme religiose e civili. Come un tempo, anche oggi la principale è e sarà sempre quella di fare alzare lo sguardo dalle faccende, dai piccoli problemi, dai desideri meschini e riaprire cuore e mente alla speranza, all’opera dignitosa e comunitaria, alla relazione umana aperta e vivace, all’accoglienza del povero e del diverso.

Oggi, messi alla prova dalla pandemia e dalla minaccia di guerra e di impoverimento generale, il Nostro si ripropone come simbolo di unità religiosa e civile da allargare ad un territorio ormai più vasto del Comune, da costruire sempre di nuovo, come tutte le cose belle e vere, che rimangono tali se continuano a vivere, più che nelle pietre, nella mente e nel cuore degli uomini e delle donne che le hanno amate.

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