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Società

PICCOLE PAURE

ANNA MARIA BOTTELLI - 25/03/2022

I centonove passeggini vuoti a Leopoli

I centonove passeggini vuoti a Leopoli

Mi ha colpito in questi giorni una desolante visione di una piazza di Leopoli trasmessa dalla TV: centonove passeggini vuoti a indicare lo stesso numero di bambini uccisi. Noi possiamo solo immaginare in quella piazza il silenzio assordante interrotto dalle sirene, dai colpi di artiglieria, dai bombardamenti. Più intimamente le lacrime di coloro che sono rimasti al fronte o nascosti nei rifugi, cinicamente inascoltate dal fuoco nemico.

Sono parole – fronte e rifugi – che i miei genitori non volevano più ripetere negli anni dopo la seconda guerra mondiale. L’essere richiamato al fronte, mio papà, lasciando moglie, figli piccoli e la gestione del panificio o dover correre nei rifugi da parte di chi rimaneva a casa, rappresentavano per loro tristi ricordi di sofferenze, di paure, di rischi continui. Pur essendo poi contenti come tutti, per la libertà finalmente raggiunta, lasciavano trapelare dai loro saggi discorsi sempre una certa prudenza, soprattutto negli anni del grande benessere. Il rischio di una guerra in qualche parte del mondo era nei loro pensieri, con i quali sottolineavano che il male nell’animo umano non sarebbe mai stato definitivamente estirpato.

Ora facciamo i conti con questo male, con scelte guidate solo dalla prepotenza, dal bisogno insaziabile di egemonia, dalla distruttiva forza demoniaca.

Appena iniziato questo conflitto ho intervistato qualche mio paziente della scuola primaria sul significato della parola “guerra”: con la spensieratezza tipica dell’età infantile mi è stato risposto che in fondo loro – soprattutto i maschi – sono abituati a fare o meglio a giocare “alla guerra” e che speravano che anche quei signori lontani avrebbero fatto pace come succede a loro. Più recentemente, ormai a distanza di circa un mese, le risposte sono diverse. Vi è la percezione – pur osservando poco le immagini televisive – di una certa “confusione” unita a una “paura” ingravescente. Sentono a livello emotivo le preoccupazioni degli adulti per la popolazione martoriata. Quanto sta avvenendo genera tra i bambini una certa ansia, temendo un allargamento del conflitto anche da noi. Si sentono gratificati se vengono coinvolti dagli adulti – genitori o insegnanti – in azioni positive di aiuto concreto verso la popolazione ucraina. Rendendoli partecipi, possono elaborare tutte le cattive notizie, evitando anche sintomi da somatizzazione quali insonnia e mal di pancia tra i più frequenti.

Non siamo ancora completamente usciti da una pandemia che in non pochi bambini e adolescenti ha lasciato un segno, e ora ci troviamo ad affrontare un’altra emergenza forse più psicologica che fisica, tuttavia nociva.

A questo proposito mi pare significativo trascrivere qualche riga di una poesia, che unisce virus e bombe, dal titolo “La guerra dal punto di vista dei bambini”:

Ma cosa avete voi adulti? / Mi chiedo se sia normale / riuscire a battere il virus / e cercare un altro modo per star male…/ Hanno detto in TV che la guerra è cominciata / che la gente soffre in una terra desolata, / ed io capisco, pur essendo un bambino, / che per bombe e fucili non esiste un vaccino, / che per l’odio e il rancore non c’è medicina / e per salvarsi non basta la mascherina. (…..)

I bambini cercano sempre la verità delle cose, per cui numerose sono le domande riguardo alla guerra. Vanno ascoltati, rassicurati con spiegazioni semplici ma anche con gesti affettuosi. Parlare di morte – interpretata dai bambini come abbandono – per spiegare ciò che sta avvenendo ai loro coetanei, significa essere attenti all’uso di ogni parola e all’ascolto empatico dei loro sentimenti. Noi adulti dobbiamo trasmettere positività e continuare ad educarli, curarli, proteggerli, soprattutto in momenti angosciosi.

Così suggeriva Maria Montessori: “Stabilire una pace duratura è un compito dell’istruzione, tutto quello che i politici possono fare è di tenerci fuori dalla guerra”.

Speriamo che siano in grado di farlo!

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