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Apologie Paradossali

LA “PACE NON CATTIVA”

COSTANTE PORTATADINO - 27/05/2022

Alla conferenza di Helsinki del 1975

Alla conferenza di Helsinki del 1975

(O) Stando ben attenti a non prendere lucciole per lanterne, cioè a non esagerare in ottimismo, voglio però pensare di non essere il solo a coltivare l’idea di come si deve costruire un accordo di pace, che consolidi una tregua che per sua natura nascerà precaria. La tappa più difficile sarà probabilmente la prima, perché occorrerà superare ogni pregiudiziale e la tentazione di entrambe le parti di assicurarsi qualche ulteriore vantaggio territoriale, prima del “cessate il fuoco”. Già il nostro Ministero degli Esteri ha avanzato un piano ambizioso, ancorché informale, ovviamente basato sul presupposto che si arrivi prima al punto nevralgico: la tregua. Ma, dando per ammesso che il primo passo sia positivo e che, presumibilmente, contenga l’accettazione da parte di Kyiv di quelle concessioni sulla propria neutralità e sulla vasta autonomia (se non sostanziale indipendenza) delle regioni rivendicate dalla Russia, resta da capire come tornare a regolare i rapporti tra il complesso degli Stati Occidentali e la Federazione Russa, per restituirci un ordine globale o almeno una sicurezza europea meno precaria.

(S) Cari amici, imbarcatevi pure in questa ricerca, ma consentitemi di esprimere ancora una volta il mio scetticismo: la politica americana è da troppi anni debole e contraddittoria rispetto all’Europa, mentre l’Europa stessa è ancora incapace di una propria politica estera unitaria; perciò non vedo nessuna prospettiva di solidità, a fronte di una volontà russa di ritornare protagonista della scena politica mondiale, dopo che avrà mostrato l’indispensabilità del proprio apporto al mercato mondiale delle materie prime, dell’energia e dei cereali.

Una seria analisi della difficoltà di questo progetto, pur con un fondo di ottimismo che è piaciuto ad Onorio, è stata proposta dall’editoriale di Agostino Giovagnoli, un docente di storia contemporanea, “Si pensi già il dopoguerra”, su Avvenire di sabato 21/5. Dopo aver richiamato gli errori gravissimi dei trattati di pace di Versailles e di Sévres, conclusivi della prima guerra mondiale, riconducibili a quello, fondamentale, di aver preteso di ridisegnare le frontiere politiche d’Europa a tavolino, l’autore giustamente fa capire che la cattiva pace che ne derivò fu la premessa della successiva e ancor più tragica seconda guerra, conclusa invece senza un vero trattato di pace, ma con la spartizione tra i vincitori delle aree d’influenza in Europa, con la cortina di ferro e con la guerra fredda: condizioni a cui non vorremmo certamente ritornare adesso.

(C) Anch’io devo fare uno sforzo per superare il pessimismo, considerata la difficoltà del primo passo. Afferro con simpatia la proposta di Giovagnoli di includere le trattative di pace nell’ambito di un rinnovamento dello spirito degli accordi di Helsinki, intervenuti negli anni settanta come strumento di dialogo e di sviluppo di relazioni non solo pacifiche, ma positivamente collaborative, dopo la durezza degli anni cinquanta e sessanta. Helsinki è stata un’utilissima ma parziale supplenza ad un vero trattato di pace ed ha consentito di far penetrare raggi di libertà e di democrazia oltre la cortina di ferro, ma non ha certo sostituito il sistema di bilanciamento delle forze militari, basato sulla deterrenza nucleare reciproca.

Ma oggi la situazione si è paradossalmente rovesciata: la deterrenza nucleare russa è stata evocata non per impedire una guerra convenzionale, come in passato, ma proprio per renderla possibile, usandola come minaccia per interdire un intervento diretto della NATO.

(O) Infatti Giovagnoli, consapevole dei limiti attuali degli accordi di Helsinki, ne propone un allargamento, sia in termini sostanziali, sia aprendone la partecipazione alla Cina in funzione di stabilizzazione.

(C) Questa ipotesi mi sembra troppo ambiziosa per un verso, mentre per un altro aspetto rischierebbe di conferire alla Cina un ruolo di arbitro in vicende europee francamente eccessivo. Già la questione della “via della seta” è controversa. Piuttosto allargherei l’orizzonte al Mediterraneo e al Sahel, che costituiscono già un medesimo scenario sia di confronto politico-militare, sia di bisogni umani ed economici, pensando all’instabilità politica, al clima, all’emigrazione.

(O) Interessante, ma solo se veramente ci mettessimo sullo stesso piano con questi Stati, per una vera cooperazione. Non dimentichiamo che la differenza di accoglienza tra i profughi ucraini e i migranti africani o asiatici è stata notata e sofferta. Un primo passo sarebbe scegliere come sede della conferenza di pace proprio una città del Mediterraneo, una di quelle che potrebbe cominciare a pagare il rincaro dei cereali a causa della guerra. Potrebbe sembrare solo un simbolo, ma è importante per far capire a tutti i popoli vicini e agli stessi cittadini europei, sovranisti o meno, che l’Europa non punta all’autosufficienza e all’isolamento, ma alla cooperazione internazionale.

(O) Onirio Desti (S) Sebastiano Conformi (C) Costante

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