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Attualità

A TAVOLA

ROBERTO CECCHI - 05/05/2023

La sede del Ministero della Cultura a Roma

La sede del Ministero della Cultura a Roma

Non so come la gente immagini siano fatti i ministeri, quegli uffici che si trovano fisicamente al centro di Roma, dove si decidono le sorti del Paese. Le cosiddette “segrete stanze”, in cui si stabilisce il da farsi su qualsiasi cosa riguardi il funzionamento della collettività nazionale, come sicurezza, economia, scuola, sanità, eccetera compresi i beni culturali. Il cuore del potere, insomma. Magari si pensa che i ministri abbiano mano libera e si organizzino come meglio credono. Non è così. Devono sottostare a regole molto precise, stabilite per legge, uguali per tutti, salvo particolari organizzativi che possono variare da un ministero e un altro, per venire incontro a qualche specificità.

I ministeri sono stati pensati come una struttura rigorosamente verticistica, dove la parte politica si trova a capo di tutto, con ministro e sottosegretario (che possono essere anche più di uno, ma con responsabilità molto più limitate). E si avvale dei cosiddetti «uffici di diretta collaborazione», che sono quelli del capo di gabinetto e del capo ufficio legislativo (ma ci sono anche il consigliere diplomatico, il capo della segreteria…). Generalmente, sono magistrati di varia estrazione, avvocati dello Stato, professori universitari, eccetera. Il primo disciplina il funzionamento di tutta la struttura amministrativa, il secondo le iniziative legislative e regolamentari. Una struttura tetragona a cui – di solito – non sfugge nulla di quel che accade dentro e fuori il ministero (salvo quello di cui si fa finta di non accorgersi). Controlla i flussi in entrata, assegnando compiti alle strutture sotto ordinate e quelli in uscita, centellinando con attenzione qualsiasi risposta, intervenendo direttamente sugli uffici sottoposti, ogniqualvolta ci sia la necessità rimettere in carreggiata qualcosa che non va o per affrontare un problema particolare.

Al disotto di questa prima struttura di vertice ci sono le direzioni generali (che possono essere organizzate anche in dipartimenti) che pure si trovano fisicamente a livello centrale (ma in taluni casi anche sul territorio), a Roma, e sono in numero variabile, a seconda delle branche in cui è organizzato ciascun ministero. Le direzioni generali sono coordinate da un segretario generale che ha il compito di tenere insieme le materie e riferisce direttamente al ministro. Dunque, un ministero è una macchina costruita con logiche stringenti, che consentono di avere sempre sotto controllo qualsiasi cosa accada, in entrata e in uscita. Se la macchina è appena un po’ rodata, è quasi impossibile che possano capitare disfunzioni tali per cui ciascuno si organizzi a sentimento, come in una gelateria o in una “melonera”. Non è dato.

In questi giorni, invece, il ministro della cultura Sangiuliano ci ha informato di una sua lettera inviata ai suoi direttori generali (nove), lamentando che si sarebbero permessi di prender le ferie per fare il ponte della Liberazione lo scorso 25 aprile, senza dir nulla, abbandonando la tolda di comando, lasciando gli uffici sguarniti, mentre la parte politica era sul pezzo a cercar di risolvere questo e quello nell’impossibilità, però, di poterlo fare al meglio, perché i responsabili stavano giulivi a prendere il sole. Quindi, ha tenuto a precisare che ci sarebbe bisogno di un coordinamento, come si fa nelle redazioni dei giornali, dove c’è sempre qualcuno per far fronte alle emergenze. Ha chiuso la reprimenda (ma non è la prima sulle aperture degli uffici, aveva cominciato con gli Uffizi) invitando a pranzo i direttori redarguiti, il prossimo 15 agosto, precisando che pagherà lui. Una sorta di punizione corporale, irrorata col sorriso sulle labbra, condita con tanto di diffusione mediatica, che parte da Dagospia e attraversa l’universo mondo dei media in men che non si dica.

E allora, vien fatto di chiedersi a che cosa servirà mai tutto quell’armamentario di capi di gabinetto, uffici legislativi e segretari generali che, tra l’altro, ci costa un occhio della testa in stipendi, con compiti di coordinamento, se non riesce neanche a sapere quando i suoi più diretti collaboratori, i direttori generali, si prendono le ferie? Non c’era una direttiva in materia? Non era possibile mandare un promemoria anche solo via whatsapp per ricordare a quegli inetti (o presunti tali) i loro doveri? Non è che ci fosse da riunire un corpo d’armata, si tratta di nove (!) persone (anzi sette, perché due erano presenti). Comunque sia, la reprimenda è piaciuta un po’ a tutti – salvo che a chi scrive -, come succede con le reprimende, visto il modo in cui è stata ripresa finendo, addirittura, sulle prime pagine dei giornali e accolta coi lucciconi agli occhi da chi, da sempre, pensa che la pubblica amministrazione non sia altro che un coacervo di fannulloni. Probabilmente per qualche benevolo lettore è il segnale del cambiamento che si aspettava, a partire da uno dei ministeri di minor peso (da sempre) dell’intera compagine governativa. Ma il sospetto che non sia stata altro che un’abile sceneggiata è forte. Anche se è vero che questo Governo qualche problema con la mancanza di numeri ce l’ha e non solo al Ministero della Cultura.

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