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Zic & Zac

UGUALI E CONTRARI

MARCO ZACCHERA - 07/07/2023

manifestazione-franciaLe notizie francesi sulla “Rivolta dei giovanissimi” che da ormai una settimana scuote la Francia, in Italia vengono lette soprattutto come fatti di cronaca, ma si fanno pochi sforzi di approfondimento sulle motivazioni profonde di una situazione esplosiva che dovrebbe fare riflettere tutta l’Europa.

Se il pretesto è stata l’uccisione di un giovane di 17 anni ad un posto di blocco c’è sottostante una situazione insostenibile, a lungo tollerata ma anche nascosta a livello di opinione pubblica, soprattutto nel nostro Paese.

Non solo nella periferia parigina ma in tutta la Francia sta infatti crescendo una nuova generazione che non riesce (e non vuole) integrarsi nella comunità e che rifiuta l’omologazione culturale e sociale di un Paese che sulla “egalité” aveva ed ha scommesso il proprio futuro. Sono giovani francesi figli (e nipoti) dell’ondata migratoria che ha riempito la Francia, soprattutto dal Nord Africa e dalle ex colonie francesi, che proprio nella loro “diversità” trovano motivi di aggregazione rifiutando le strutture stesse di uno Stato che considerano “nemico” perché non se ne sentono parte.

Sono diventati “grandi numeri” che affrontano un disagio fatto di abbandono scolastico, larghe sacche di disoccupazione e difficoltà economiche, frutti antitetici agli obiettivi di una politica francese che da anni come scelta strategica aveva voluto invece cancellare, almeno ufficialmente, proprio tutte le diversità etniche, culturali, sociali e religiose.

Siamo arrivati al paradosso che in alcuni quartieri non entri e non vivi se non sei originario di un determinato Paese africano, ma poi è vietato indicare in un curriculum la tua etnia di provenienza o una scelta religiosa.

Appare assolutamente ipocrita non voler riconoscere la realtà di questo fallimento quando – soprattutto nel mondo musulmano – sono invece proprio queste le caratteristiche più importanti e che vengono sublimate soprattutto da chi non ha altri motivi di integrazione.

L’orgoglio di origine razziale di appartenenza sembra diventato l’elemento fondamentale di identità di questi giovani francesi che a migliaia – da ormai diversi giorni – tengono in scacco governo e polizia, in un moltiplicarsi di incidenti, provocazioni, incendi.

Non c’entra nulla la morte del giovane Nahel con l’assalto a un municipio o con il saccheggio di un negozio alla moda, ma è la “vendetta” generata da una rabbia profonda ed iconoclasta non per l’episodio in sé, ma contro i simboli del potere e della ricchezza negata.

Macron è in forte difficoltà: senza una maggioranza parlamentare stabile, stretto da una estrema destra che gli chiede più rigore e condizionato da una sinistra che lo attacca, oscilla tra appelli e pressioni opposte, mentre ormai non solo le periferie bruciano per una rivolta che si estende e può diventare incontrollabile. Sull’altro fronte si moltiplicano anche i gruppi di “autodifesa” spesso armati e ufficialmente coperti da associazioni di tiro a segno.

Certo fa effetto prendere atto che nel mirino ci sia proprio il ministro dell’interno Darmanin – potenziale successore di Macron e molto pieno di sé  – che solo due mesi fa attaccava la Meloni sulle politiche migratorie italiane e che ora appare manifestamente incapace di controllare la propria situazione interna.

Così come appare surreale che l’ONU sostenga come proprio in Francia la polizia attuerebbe discriminazioni etniche (quando la “gendarmerie” è un evidente esempio interraziale) e le stesse Nazioni Unite non muovono ciglia per gli attacchi in tutta l’Africa di carattere religioso contro i cristiani o non intervengono su Paesi che praticano abitualmente la pena di morte o la discriminazione femminile.

Attenti però alla rivolta francese, perché potrebbe essere una miccia per analoghe situazioni anche in altri paesi europei (si pensi al Belgio) ma che deve portarci ad una profonda riflessione sulle conseguenze indirette del fenomeno immigrazione.

Si impone quindi anche una riflessione “europea” perché la politica delle frontiere “aperte” può creare – anche dopo molti anni – situazioni ingovernabili e molto pericolose per tutti.

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