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Economia

SINDACATO IN GABBIA

GIANFRANCO FABI - 17/11/2023

gabbieCi sono casi in cui la realtà è molto diversa dai termini che si usano per descriverla. Uno di questi casi è quello delle “gabbie salariali”, un termine coniato dai sindacati negli anni ’60 per criticare l’accordo che dal ’45 permetteva che i contratti di lavoro potessero prevedere salari differenziati a seconda del costo della vita delle diverse regioni.

 Il termine “gabbia” lascia intendere qualcosa di negativo, una privazione della libertà, una struttura in cui rinchiudere i lavoratori quali fosse “mammiferi, uccelli o altri animali in cattività”, come spiega il vocabolario Treccani.

Le gabbie salariali furono uno dei grandi temi dell’autunno caldo, degli scioperi e delle proteste legate al rinnovo di grandi contratti di lavoro, in particolare quelli dei metalmeccanici, che hanno caratterizzato il 1968. E infatti il sistema venne abolito con un passaggio graduale nell’arco di tre anni verso il contratto unico nazionale.

Resta il fatto che nei quindici anni in cui erano rimaste in vigore le “gabbie” hanno contributo a quella moderazione salariale che ha permesso di frenare la svalutazione della lira e di tenere sotto controllo l’inflazione limitando il circolo vizioso salari-prezzi-salari.

Non è un caso quindi che in questi mesi in cui l’inflazione ha rialzato la testa si sia tornati a parlare della possibilità di differenziare i salari limitando gli aumenti per i lavoratori delle regioni in cui il costo della vita è più basso: in effetti vi sono differenze che possono arrivare al 40% tra il costo della vita in una grande città del Nord rispetto ad una piccola cittadina del Meridione. Per tante ragioni: per esempio quelle climatiche perché riscaldare un appartamento a Bolzano può costare il doppio rispetto a Bari o Palermo dove il clima è sicuramente più mite (e dove i prezzi delle case o gli affitti sono decisamente più bassi).

Nelle ultime settimane è arrivata prima una sollecitazione del ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, per differenziare gli stipendi degli insegnanti, e poi una proposta della Lega che ha presentato un disegno di legge «per dare la possibilità alla contrattazione di secondo livello, territoriale e aziendale, di utilizzare il parametro del costo della vita, oltre a quelli già previsti per legge, nell’attribuzione dei trattamenti economici accessori ai dipendenti pubblici e privati».

Apriti cielo. Si sono subito sollevati gli scudi del sindacato e dei partiti di sinistra ripetendo quello slogan “no alle gabbie salariali” che continua ad essere una rappresentazione fuorviante della realtà. Differenziare i salari non vuol dire metterli in gabbia, ma l’esatto contrario: restituire una libertà di contrattazione alla luce di elementi di fatto come il diverso costo della vita.

Senza dimenticare che il salario unico non solo rende di fatto più poveri i lavoratori delle grandi città del Nord, ma costituisce un freno all’occupazione nel Mezzogiorno, dove peraltro la produttività è molto più bassa.

Un sindacato moderno dovrebbe essere il primo a fare del salario un elemento di equità e di crescita abbandonando i vecchi schemi ideologici e le parole d’ordine del passato. Mandando in discarica un termine preistorico come quello di “gabbie salariali”.

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