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Apologie Paradossali

IL VESCOVO CHE AVREMMO VOLUTO

COSTANTE PORTATADINO - 15/12/2023

Manfredini con la FUCI di Varese all’Alpe Veglia nel 1966

Manfredini con la FUCI di Varese all’Alpe Veglia nel 1966

(S) Non tutti hanno preso bene il tuo richiamo alla classe dirigente varesina, di riscuotersi dallo stato di “sonnambulismo” peraltro comune alla società italiana nel complesso. Fanno osservare, anche con riferimento ai giudizi di Luigi Zanzi, dietro i quali ti corazzi, “una città che non ha più il “suo” giornale, la “sua” banca, il “suo” teatro, e non ha ancora un “suo” vescovo”, che il giornale c’è, il teatro, provvisorio, c’è, piccole città con una banca del territorio ne sono rimaste poche. La questione del vescovo non dipende da noi.

(C) Parliamo di quest’ultimo caso. Vero, dipende dal Vaticano, dall’ archidiocesi di Milano, ma forse un pochino anche da noi. Ricordo come sorse la questione, sia pure come vaga speranza. Segnalo di sfuggita che il concordato del 1929 stabiliva la corrispondenza delle diocesi alle province. Non se ne fece nulla e nessuno se ne dolse, nemmeno nell’Italia repubblicana. Occorre dire che il Prevosto di Varese, prima delle riforme postconciliari, godeva di prerogative particolari, era Vicario Foraneo, godeva di tratti distintivi anche nell’abito talare, guarnito di rifiniture di un rosso quasi vescovile ed esercitava una specie di primazia d’onore in città, riconosciuta dalle autorità civili. Avvenne poi che nel dopoguerra due prevosti fossero chiamati al ministero episcopale: mons. Schiavini come vicario generale della diocesi e mons. Rossi come vescovo di Tortona. Quando come successore venne incaricato mons. Manfredini, ci si accorse ben presto, dal temperamento e dalle azioni, che sarebbe stato per la città di Varese quasi come avere un proprio vescovo.

(O) Ma chi era, che cosa ha fatto? Troppo giovane per averlo conosciuto, ne ho sentito parlare troppo poco.

(C) Ordinato sacerdote nel 1945, dopo le prime esperienze in parrocchia, ricevette incarichi importanti come assistente dell’Azione Cattolica diocesana dall’arcivescovo Montini, che lo destinò come prevosto di Varese nel 1963, immediatamente prima di recarsi a Roma per il conclave dove sarebbe stato eletto Papa, segno di una particolare fiducia, che si sarebbe manifestata con la chiamata ad uditore del Concilio, in rappresentanza dei parroci. Ma più che della carriera, preferisco parlarvi del metodo con cui agì a Varese.

Fu antesignano nella valorizzazione dei compiti di apostolato dei laici: non più solo coadiuvanti in faccende materiali, ma partecipanti attivi e testimoni credibili nella carità, nella missione, nella cultura. E se carità e missione erano virtù già praticate, magari in modo sommario e disorganizzato, la preoccupazione per la cultura cristiana fu il tratto innovativo e caratterizzante dell’opera del Prevosto.

Il centro focale della sua attività si può riassumere in una parola: educazione. Il metodo non era quello di trattenere le pecorelle al sicuro nell’ovile, preservandole dai pericolosi contatti con il mondo, ma di dotare i cristiani, specialmente i giovani, di un criterio di giudizio, di consolidarli in un’amicizia comunionale e quindi gettarli nel confronto con la realtà in tutte le sue forme: la scuola, il lavoro, il disagio sociale e la malattia, la politica, ogni forma di carità, fino all’assistenza ai carcerati. Questa presenza aperta ad ogni problema reale fu ciò che chiamerei “costruire la città”. In questo senso poté crescere nei cattolici varesini l’aspettativa di una prossima promozione a diocesi. La successiva disillusione non fu motivata dalla minore personalità dei successori, altrettanto meritevoli, ma dalla preoccupazione “curiale” di perdere il controllo di una zona ricca di vocazioni sacerdotali e del grande seminario di Venegono. Preoccupazioni che oggi potrei immaginare superabili.

Tutto questo fervore di opere e di testimonianza deve però essere ricondotto al punto più vero della personalità di Manfredini, che continuò ad esprimere come vescovo di Piacenza e di Bologna: essere un sacerdote vero, amante di Gesù Cristo e costruttore di comunione con tutti i fedeli affidatigli. Paolo VI, destinandolo alla diocesi di Piacenza, gli confidò: “la chiamata all’episcopato è una chiamata alla Croce” e battendo il pugno sul tavolo gli disse “forza Manfredini”.

Verrà ricordato a Varese, nella ‘sua’ basilica di s. Vittore alle 10 di sabato 16 dicembre. Altri incontri e una mostra si terranno come percorso spirituale fino alla festa di s. Vittore, l’8 maggio.

(C) Costante (S) Sebastiano Conformi (O) Onirio Desti

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